La rilevanza fiscale delle plusvalenze da cessione di sportivi professionisti e le prospettive di riforma
La questione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di sportivi professionisti è, negli ultimi tempi, al centro della cronaca sportiva e giudiziaria.
La fattispecie in esame ha degli evidenti risvolti fiscali, che, da ultimo, sono stati affrontati dalla Corte di Cassazione nella ordinanza 25 gennaio 2023 n. 2376 in relazione ad una vicenda riguardante il regime fiscale ai fini IRAP della cessione di un giocatore da parte di una società calcistica professionistica.
In questo contesto, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui la cessione dei contratti di prestazione sportiva di atleti professionisti è equiparabile alla cessione di un bene immateriale strumentale suscettibile di generare plusvalenze e, dunque, rilevante ai fini IRAP.
La questione controversa ruotava attorno alla qualifica del diritto di una società sportiva a godere della prestazione professionale di un calciatore come bene strumentale dell’impresa. La Corte era stata chiamata a decidere se il corrispettivo percepito dalla cessione di tale diritto generasse o meno una plusvalenza rilevante ai fini del tributo regionale.
Nello specifico, la società calcistica aveva ottenuto dai giudici di merito il riconoscimento che il trasferimento della prestazione sportiva prima della scadenza naturale del contratto dovesse essere frazionato in due momenti:
- la risoluzione anticipata dell’originario contratto fra l’atleta e la società; e
- la successiva conclusione di un diverso contratto fra lo sportivo e la nuova società acquirente.
Alla luce di questa impostazione giuridica, l’eventuale corrispettivo versato da quest’ultima troverebbe causa nel diritto a contrarre con l’atleta in seguito alla risoluzione anticipata del contratto e, in quanto tale, non produrrebbe plusvalenze soggette a tassazione.
La Cassazione, tuttavia, non condivide questa interpretazione. Secondo i giudici di legittimità, il trasferimento di un atleta da una società ad un’altra (dietro corrispettivo) prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale va unitariamente inquadrato come cessione di contratto avente ad oggetto il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta, qualificabile come bene immateriale strumentale all’esercizio di impresa sportiva suscettibile di generare una plusvalenza soggetta a IRAP.
La pronuncia della Cassazione arriva in un periodo in cui, a seguito delle note vicende giudiziarie in ambito calcistico, si discute di una stretta per le plusvalenze realizzate proprio dalle società sportive.
L’attuale disciplina fiscale prevede che, di regola, le plusvalenze patrimoniali imponibili concorrano a formare il reddito di impresa per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono realizzate. Per le plusvalenze relative a beni posseduti da almeno un anno da società sportive professionistiche, è prevista la possibilità di “spalmare” l’imposizione fino a un massimo di cinque periodi di imposta.
Tuttavia, il legislatore sembrerebbe essere intenzionato a modificare la normativa portando il periodo di possesso dei beni a tre anni anche per le società sportive, come previsto per la generalità delle imprese. In questo senso andava l’emendamento sulle plusvalenze nel settore sportivo, presentato dal Governo al Decreto Milleproroghe e poi ritirato, che, inoltre, prevedeva la possibilità di spalmare le plusvalenze in più anni ma solo relativamente alla quota proporzionalmente corrispondente alla parte del corrispettivo in denaro, disincentivando le cessioni rinvenienti dalla permuta di calciatori (c.d. operazioni a specchio).
Seguiremo le evoluzioni della normativa e gli impatti fiscali sulle società professionistiche e sull’intero sistema calcio che, è bene ricordarlo, ha impatti rilevanti sul PIL nazionale e, quindi, va supportato e, se necessario, ulteriormente regolamentato, ma non demonizzato.