
28 febbraio 2022 • 10 minuti di lettura
Antitrust bites - Newsletter
Febbraio 2022Il 2021 in numeri: una panoramica delle sanzioni imposte dall’Autorità della Concorrenza e del Mercato in Italia
Nel corso del 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha comminato alle imprese sanzioni per un totale di oltre 1,4 miliardi di euro per violazioni del diritto della concorrenza. Sul totale complessivo incide in modo rilevante (per 4/5) la sanzione di circa 1,1 miliardi applicata dall’AGCM in un caso di abuso di posizione dominante, che rappresenta la più elevata sanzione sinora irrogata da AGCM.
Due sono state le istruttorie con l’accertamento di una violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, a fronte delle quali sono state irrogate sanzioni per un ammontare complessivo di circa 175 milioni di euro; nel 2020 le istruttorie in materia di intese chiuse con accertamento della violazione erano state tre, con sanzioni per circa 228 milioni di euro.
Tre le istruttorie concluse con un accertamento di violazione del divieto di abuso di posizione dominante, con sanzioni per un ammontare complessivo di oltre 1,2 miliardi di euro (di cui come visto circa 1,1 miliardi in un solo caso). Nel 2020, le istruttorie in materia di abuso di posizione dominante chiuse con l’accertamento della violazione erano state tre, con sanzioni per circa 154 milioni di euro.
Per quanto riguarda invece la tutela del consumatore, 50 dei 95 procedimenti conclusi dall’Autorità nel 2021 hanno portato all’accertamento di violazioni della disciplina consumeristica, di cui 35 con l’accertamento di pratiche commerciali scorrette (nel 2020 erano stati 42), un procedimento chiuso con accertamento di violazioni di consumer rights e pratiche commerciali scorrette (nel 2020 3 procedimenti erano stati chiusi con accertamento delle due violazioni ed uno con accertamento della sola violazione di consumer rights), 10 con accertamento di inottemperanza a precedenti decisioni dell’Autorità (9 nel 2020), 4 per clausole vessatorie (11 nel 2020) e 8 per pratiche sleali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (nessuno nel 2020). L’AGCM ha comminato sanzioni per un totale di circa 88 milioni, di cui circa 72 milioni solo per pratiche commerciali scorrette e violazione dei consumer rights (nel 2020 erano stati circa 84 milioni), 16 milioni per inottemperanza (circa 4,5 milioni nel 2020) e 27.000 euro per pratiche sleali nel settore agroalimentare.
Finanziamenti auto: il Consiglio di Stato conferma l’annullamento del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM
Con sentenze rese tra la fine di gennaio e i primi di febbraio 2022, il Consiglio di Stato ha confermato l’annullamento del provvedimento con cui l’AGCM, all’esito del procedimento I811, aveva accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza consistente nello scambio di informazioni commercialmente sensibili tra le captive banks dei principali gruppi automobilistici operanti in Italia, anche per il tramite di due associazioni di categoria, e irrogato sanzioni per oltre 678 milioni di euro.
In particolare, il Consiglio di Stato ha confermato l’illegittimità del provvedimento per tardività dell’avvio del procedimento, in quanto disposto dopo più di tre anni dal ricevimento della prima domanda di clemenza da cui il procedimento origina.
Il Consiglio di Stato ha disatteso la tesi sostenuta da AGCM secondo cui, poiché il leniency applicant avrebbe presentato nel 2014 per gli stessi fatti domanda di clemenza in forma semplificata all’AGCM e domanda di clemenza in forma completa alla Commissione, l’AGCM sarebbe potuta intervenire solamente se e quando la Commissione avesse deciso di non procedere e, avendo la Commissione sciolto la propria riserva solamente a dicembre 2016, l’avvio del procedimento da parte di AGCM nell’aprile 2017 sarebbe stato tempestivo.
Secondo il Consiglio di Stato, infatti, quantomeno all’epoca dei fatti, non vi era alcuna regola che impedisse all’AGCM di attivarsi prima che la Commissione avesse deciso di non procedere sul caso. Una simile regola, afferma il Consiglio di Stato, parrebbe ora rinvenibile nell’art. 22 della Direttiva 2019/1 (ECN+) che tuttavia, oltre a non essere applicabile ratione temporis al caso in esame, parrebbe comunque presupporre che la scelta della Commissione di non perseguire, in tutto o in parte, il caso, sia comunicata in un tempo ragionevole, e che la singola autorità nazionale possa farsi carico di acquisire, ovvero sollecitare, una simile informazione, così da pervenire quanto prima alla definizione dell’autorità chiamata a perseguire il caso.
L’avvio del procedimento dopo oltre tre anni dal ricevimento della domanda di clemenza, e l’assenza di un coordinamento formale tra la Commissione e l’AGCM in tale lasso di tempo, determina secondo il Collegio l’illegittimità del provvedimento, sia ove si riconosca l’applicabilità diretta del termine decadenziale ex art. 14 della l. 689/1981 anche nei procedimenti antitrust, sia in forza dei principi generali contemplati dagli articoli 6 CEDU e 41 della Carta di Nizza che impongono all’Autorità di attivarsi entro un termine ragionevole.
Esercizio dei poteri in materia di FDI: la Commissione europea accerta una violazione dell’art. 21 EUMR
Con Comunicato stampa del 21 febbraio scorso, la Commissione europea ha reso noto di aver accertato una violazione dell’articolo 21 del Regolamento CE n. 139 del 2004 (EUMR) nei confronti del Governo ungherese in relazione al veto espresso su un’operazione di acquisizione di alcune società ungheresi da parte di un gruppo assicurativo austriaco, nell’esercizio dei propri poteri in materia di “foreign direct investment” (FDI).
In particolare, il Governo ungherese, esercitando i poteri ad esso conferiti dalla disciplina emergenziale in materia di FDI adottata nel contesto della pandemia da coronavirus, aveva vietato l’operazione in esame, in quanto ritenuta lesiva degli interessi legittimi nazionali. Successivamente, la Commissione europea, mese di agosto 2021, aveva autorizzato una più ampia operazione di concentrazione nel cui ambito si inseriva l’acquisizione oggetto del diniego del Governo ungherese.
All’esito del procedimento avviato per l’accertamento della violazione dell’articolo 21 EUMR, la Commissione europea ha espresso dubbi circa l’effettiva rispondenza del diniego imposto dal Governo all’esigenza di tutelare gli interessi legittimi nazionali e, quindi, della possibilità per il Governo di adottare una simile decisione ai sensi di quanto previsto dall’art. 21.4 EUMR, che consente agli Stati membri di adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dall’EUMR purché compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario. La Commissione ha quindi concluso che le autorità ungheresi avrebbero dovuto comunicare la loro intenzione di adottare il veto prima di imporlo in concreto e l’assenza di tale previa comunicazione integra una violazione dell’articolo 21 EUMR.
Inoltre, la Commissione ha ritenuto che la misura di diniego imposta dall’Autorità ungherese non fosse giustificata, idonea e proporzionata e conseguentemente fosse incompatibile con le previsioni europee in tema di libertà di stabilimento.
Ritenendo quindi che il diniego all’operazione costituisca una violazione dell’articolo 21 EUMR, la Commissione ha ordinato alle autorità ungheresi di rimuoverlo entro il 18 marzo 2022. Nel caso in cui l’Ungheria non adempia a questa decisione, la Commissione potrà aprire una procedura di infrazione dinnanzi alla Corte di Giustizia.
Rigetto di denunce antitrust: il Tribunale UE si pronuncia sull’onere motivazionale della Commissione
Con sentenza del 9 febbraio scorso, resa nella causa T 791/19, il Tribunale dell’Unione europea ha accolto il ricorso di un operatore avverso la decisione della Commissione europea con cui era stata respinta la sua denuncia di un presunto abuso di posizione dominante commesso dall’impresa incumbent nel mercato dei servizi di trasporto ferroviario di merci in Polonia.
La Commissione aveva rigettato la denuncia – presentata a seguito dell’asserito rifiuto da parte della società dominante di concludere con la ricorrente un contratto di cooperazione pluriennale a condizioni di mercato – per mancanza di interesse UE ritenendo, in estrema sintesi, che l’autorità polacca garante della concorrenza si trovasse in una posizione migliore per esaminarla.
Il rigetto è stato impugnato innanzi al Tribunale dell’Unione europea, in sintesi, sulla base dei seguenti motivi d’impugnazione: i) la violazione del diritto della denunciante a che il caso fosse trattato entro un termine ragionevole; ii) la mancata considerazione dell’interesse dell’Unione a esaminare la denuncia e iii) la violazione del principio dello Stato di diritto in Polonia.
I motivi sub i) e ii) sono stati respinti dal Tribunale, rispettivamente perché: i) la denunciante non avrebbe dedotto elementi idonei a dimostrare che la presunta eccesiva durata del procedimento avrebbe condizionato l’esercizio dei suoi diritti di difesa; e ii) non era stata fornita alcuna prova di ipotetici effetti transnazionali delle condotte denunciate.
Il motivo sub iii) è stato invece accolto. Il Tribunale dell’Unione europea ha ricordato che, prima di respingere una denuncia per mancanza di interesse UE, la Commissione è tenuta ad assicurarsi che le autorità nazionali siano in grado di salvaguardare in modo soddisfacente i diritti del denunciante, dovendo valutare, concretamente e alla luce delle specifiche deduzioni mosse, la sussistenza di motivi seri e comprovati tali da generare un rischio concreto di violazione dei diritti del denunciante in caso di esame del caso da parte dell’autorità garante nazionale. Il Tribunale ha fra gli altri richiamato i seguenti indici che erano stati dedotti dalla denunciante innanzi alla Commissione: la presunta dipendenza del Presidente dell’Autorità antitrust dal potere esecutivo, che lo nomina ed eventualmente revoca senza che la legge precisi né la durata del mandato presidenziale né i motivi per una eventuale revoca; il controllo pubblico sulla società che avrebbe commesso il presunto illecito antitrust; nonché un’opposizione presentata dal procuratore generale pro tempore avverso una precedente decisione di accertamento di un abuso di posizione dominante della medesima società incumbent da parte dell’Autorità polacca. Tale ultima circostanza avrebbe asseritamente denotato una posizione di debolezza dell’Autorità rispetto a quella del procuratore.
In accoglimento di tale ultimo motivo ha pertanto annullato la decisione impugnata, poiché la Commissione non avrebbe valutato “se, nelle circostanze del caso di specie, esistessero motivi seri e comprovati per ritenere che la ricorrente corresse un rischio concreto di violazione dei suoi diritti se il suo caso dovesse essere esaminato dalle autorità nazionali”.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sanziona per oltre 10 milioni le principali imprese attive nella fornitura di contatori idrici
Con provvedimento del 1° febbraio scorso, l’AGCM ha irrogato sanzioni nei confronti di vari fornitori dei gestori del “Servizio Idrico Integrato” attivi in Italia, per aver asseritamente condizionato – attraverso un’intesa anticoncorrenziale – le gare indette tra il 2011 e il 2019 per l’approvvigionamento dei contatori idrici per la misurazione legale dei consumi di acqua per uso domestico o industriale. Sulla base degli accertamenti istruttori, è risultato che i principali operatori del settore, parti del procedimento, si sono aggiudicati oltre il 90% dei lotti censiti nel periodo considerato. La responsabilità per la condotta (e l’obbligo in solido di pagare la sanzione) è stata estesa alle rispettive controllanti totalitarie, in applicazione della c.d. “parental liability presumption”, nonché a una controllante al 60%, per la quale non risultava quindi operante la parental liability presumption, ma per la quale è stato accertato l’effettivo esercizio di un’influenza determinante sulla sua controllata tale da influenzarne l’attività e le scelte strategiche.
Dalle prove acquisite, secondo l’Autorità sarebbe emerso che le parti, anche attraverso incontri informali, avrebbero definito per ogni gara - prima della scadenza del termine per presentare le offerte – l’impresa che si sarebbe dovuta aggiudicare la fornitura e la condotta partecipativa che avrebbero dovuto adottare le altre imprese per raggiungere tale risultato. In alcuni casi, veniva data indicazione dei prezzi minimi o degli sconti massimi da rispettare, al fine di garantire che l’aggiudicatario designato presentasse sempre l’offerta migliore; in altri casi invece, le indicazioni sono state di astenersi dal partecipare alla gara, definendo in via concertata finanche la motivazione da presentare alla stazione appaltante.
Alla luce di quanto sopra, l’Autorità ha dunque ritenuto che le parti avessero posto in essere un’intesa segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva per oggetto, volta a condizionare, seguendo un comune disegno ripartitorio almeno da dicembre 2011 a settembre 2019, procedure pubbliche di affidamento della fornitura di contatori idrici per acqua fredda, in violazione dell’articolo 101 del TFUE.
Le sanzioni irrogate alle imprese parti del procedimento corrispondono a un importo pari a circa un quinto del fatturato generato dalle gare che l’AGCM ha ritenuto alterate.