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19 settembre 202227 minuti di lettura

Innovazione e diritto: le novità della settimana

Evento

La pratica sportiva come supporto alla crescita professionale: ultimi posti disponibili

Lo sport richiede sforzi e competenze specifiche fondamentali anche in ambito aziendale. Ne parleremo mercoledì 21 settembre a Milano nel corso del nostro incontro: “Allenarsi all’eccellenza. La pratica sportiva come supporto alla crescita professionale”. Trovate i dettagli qui.

Podcast

Come gli investitori in cryptocurrency possono beneficiare della flat tax

In questo episodio di Diritto al Digitale, Antonio Longo del dipartimento tax dello studio legale DLA Piper illustra a Giulio Coraggio l’opportunità fornita per gli investitori in cryptocurrency dal regime della flax tax (già esistente) per i nuovi residenti, la sua meccanica, i benefici che ne possono derivare. Potete vedere l’episodio qui.

Privacy e Cybersecurity

Cyber Resilience Act: novità in tema di sicurezza informatica per i prodotti digitali

La Commissione europea ha emesso una proposta di Cyber Resilience Act che introduce regole comuni in tema di cybersecurity per produttori e sviluppatori di prodotti digitali.

La proposta è basata sul principio di security-by-design volto ad assicurare che i produttori di dispositivi digitali siano responsabili per la sicurezza nella fase di design e progettazione e per tutto il ciclo di vita dei prodotti venduti.

"Se tutto è connesso, tutto può essere vulnerabile. [...]" è stato dichiarato da Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, in occasione dello State of the Union 2021.

La proposta di Cyber Resilience Act è stata avanzata dalla Commissione europea ed è ora al vaglio di Consiglio e Parlamento europei per l’approvazione in via definitiva. Facendo seguito alle consultazioni pubbliche concluse nel maggio scorso, il Cyber Resilience Act prosegue nella realizzazione della trasformazione digitale dell'UE entro il 2030. La novità della proposta è data dall’effetto dirompente che porterebbe nel panorama legislativo mondiale in tema di Internet of Things. Il Cyber Resilience Act andrebbe a coprire dei vuoti normativi rispetto a prodotti software e hardware ancora non regolati nel campo del digitale, armonizzando il quadro di norme in materia e aumentando la certezza del diritto per gli operatori del mercato unico.

La Commissione europea si è concentrata su due problemi principali:

1) Il ridotto numero di aggiornamenti dei prodotti digitali una volta immessi nel mercato, che mostra un sostanziale disinteresse del produttore ad eventuali problemi di sicurezza nella fase post-vendita;

2) La mancanza di consapevolezza e conoscenza dal lato del consumatore in merito alla sicurezza informatica dei dispositivi utilizzati.

Come sono affrontate queste problematiche all’interno del Cyber Resilience Act? La chiave per impedire l’accesso ad attacchi ransomware si racchiude in due concetti: cybersecurity-by-design e trasparenza nella sicurezza di un prodotto informatico durante tutto il suo life-cycle. La proposta della Commissione europea prescrive che i prodotti con elementi digitali possano essere resi disponibili sul mercato unico solamente se soddisfano tutte le misure di sicurezza necessarie. Ad esempio, verrà richiesto di assicurare un’assistenza post-vendita per un tempo ragionevole, volta a supportare i clienti del far fronte alle minacce informatiche.

Nella pratica, i produttori saranno sottoposti ad una valutazione di conformità alle norme prescritte nell’atto europeo. A seconda della classificazione del livello di criticità del prodotto, la valutazione verrebbe eseguita dal produttore stesso oppure da terze parti. Il superamento del controllo permette ai produttori di apporre sulla loro merce il certificato CE, dichiarandone la conformità alle norme UE e potendoli immettere liberamente nel mercato unico.

Lo scopo della proposta è di aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti digitali venduti in Europa, la quale ambisce a rafforzare la propria “Security Union Agenda”, a beneficio tanto di aziende quanto di consumatori. Le prime, infatti, ridurrebbero i costi legati agli incidenti derivanti da problemi alla sicurezza informatica dei propri prodotti, mentre i consumatori finali godrebbero di maggior chiarezza al momento dell’acquisto ed utilizzo dei dispositivi informatici.

Qualora la proposta della Commissione europea passasse il vaglio degli altri due co-legislatori, gli Stati Membri e gli operatori economici avrebbero due anni per conformarsi (12 mesi per l’obbligo di segnalare eventuali vulnerabilità sfruttate attivamente).

Il mondo digitale ha finora accolto con favore la proposta di Cyber Resilience Act, in un momento in cui il tema della sicurezza digitale diventa cruciale per business e consumatori. L’Agenzia Europea per la Sicurezza Informatica (ENISA) ha lanciato l’allarme su questo fenomeno, riportando come, nel 2021, si sia verificato un attacco ransomware ogni 11 secondi. Nessun settore industriale può dirsi immune da una minaccia che, a livello globale, ha causato circa 20 miliardi di euro di danni nello scorso anno.

Su questo tema si è concentrato il panel “Cybersecurity: come prepararsi e come reagire in caso di attacco?” tenutosi durante la Innovation Summit 2022 organizzata da DLA Piper il 13 settembre 2022. Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Come gestire un attacco ransomware con gli esperti di cybersecurity di KROLL”.

Il Garante privacy è contrario all’ecosistema dati sanitari del Ministero della Salute

Con un recente provvedimento, il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso un parere negativo sullo schema di decreto proposto dal Ministero della salute e dal Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale che prevede la realizzazione di nuova banca dati, il c.d. “Ecosistema Dati Sanitari”, prevista dalla riforma del Fascicolo sanitario elettronico.

Pur condividendo la necessità di introdurre strumenti finalizzati ad agevolare lo sviluppo di servizi sanitari digitali per i cittadini, il Garante si è soffermato sulla centralità del pieno rispetto dei diritti fondamentali degli interessati che potrebbero essere intaccati a causa di carenze strutturali e sostanziali dello stesso Ecosistema Dati Sanitari.

Nell’ambito della riforma del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), l’Ecosistema Dati Sanitari si pone l’obiettivo di assicurare il coordinamento informatico nonché servizi omogenei sul territorio nazionale. Ciò implicherebbe, tuttavia, l’effettiva duplicazione di dati e documenti sanitari già presenti nel FSE e determinando la realizzazione del più grande database sulla salute del nostro Paese, raccogliendo a livello centralizzato, senza garanzie di anonimato per gli assistiti, dati e documenti sanitari relativi a tutte le prestazioni sanitarie erogate sul territorio nazionale.

Dato l’elevato numero di dati personali che andrebbe ad accogliere e la natura estremamente delicata degli stessi, il Garante si è soffermato con particolare attenzione sui presidi prospettati e ha identificato importanti lacune, in particolare su:

  1. indicazioni sui dati che alimentano l’Ecosistema Dati Sanitari, ovverosia sui dati trasmessi dalle strutture sanitarie e socio-sanitarie, dagli enti del Servizio sanitario nazionale, per poter valutare il rispetto dei principi di minimizzazione, esattezza e integrità e riservatezza;
  2. l’alimentazione dell’Ecosistema Dati Sanitari, in merito alla quale devono essere indicati i soggetti e le modalità di realizzazione di tale alimentazione;
  3. i diritti dell’interessato, con riferimento ai quali devono essere indicati gli specifici diritti esercitabili da parte dell’interessato sui dati “raccolti e generati dall’Ecosistema Dati Sanitari”;
  4. il consenso dell’interessato, in merito al quale deve essere indicato l’ambito di operatività del consenso e le conseguenze di un’eventuale revoca dello stesso con specifico riferimento alla raccolta, all’elaborazione dei dati e all’erogazione dei servizi da parte dell’Ecosistema Dati Sanitari;
  5. i servizi resi dall’Ecosistema Dati Sanitari, con riferimento ai quali devono essere indicati, in relazione alle diverse finalità del trattamento, gli specifici servizi che – su richiesta- l’Ecosistema Dati Sanitari può erogare, nonché descritti, con riferimento a ciascun servizio, la tipologia di dati che si intende raccogliere, le modalità di raccolta e di elaborazione degli stessi e le fattispecie nell’ambito delle quali i soggetti deputati al perseguimento delle finalità del FSE possono richiedere specifici servizi all’Ecosistema Dati Sanitari;
  6. la titolarità dei trattamenti, essendo necessario che siano descritti i ruoli del trattamento nelle fasi di raccolta ed elaborazione dei dati trasmessi dalle strutture sanitarie e socio-sanitarie, dagli enti del Servizio sanitario nazionale.

Per le ragioni che precedono, il Garante Privacy ha invitato Ministero della Salute e Ministero per l'Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale a riformulare lo schema di decreto, contemplando contenuti e modalità di alimentazione della banca dati, diritti riconosciuti agli interessati e servizi resi, oltre a indicare quale entità ricoprirà il ruolo di titolare del trattamento dei dati.

Sul tema delle categorie particolari di dati personali, potrebbe interessarvi “La Commissione europea presenta la proposta di Regolamento sullo spazio europeo dei dati sanitari” e “La CGUE chiarisce il concetto di categorie particolari di dati personali ai sensi del GDPR”.

Intellectual Property

Beni culturali e pubblicità: il caso del David di Michelangelo

Con un’ordinanza del 14 aprile 2022, il Tribunale di Firenze ha nuovamente affrontato il tema della riproduzione dei beni culturali e, più in particolare della statua del David di Michelangelo, conservata all’interno della Galleria dell’Accademia a Firenze per scopi di natura commerciale.

  • La riproduzione dei beni culturali: gli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali

Prima di analizzare la decisione del Tribunale di Firenze, occorre fornire una breve panoramica della disciplina nazionale in materia di beni culturali, prevista dal Codice dei beni culturali.

L’attuale definizione giuridica di bene culturale è contenuta all’articolo 2 del Codice dei beni culturali, secondo cui: “sono definiti come beni culturali le cose immobili o mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. A loro volta, gli articoli 10 e 11 del Codice dei beni culturali considerano beni culturali le categorie di cose, mobili e immobili, pubbliche o private, in essi elencate. Per individuare i casi in cui un’opera presenta il suddetto interesse, ai sensi dell’articolo 12 del Codice dei beni culturali, è necessario effettuare una verifica di interesse culturale che riguarda i beni “che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni”.

In generale, per poter effettuare riproduzioni di opere rientranti tra i beni culturali, sarà necessario rivolgersi al Ministero dei Beni Culturali e del Turismo (di seguito, brevemente, “MiBACT”) o alle singole soprintendenze disseminate sul territorio nazionale, per comprendere come utilizzare le immagini per fini che esulano dal mero sfruttamento personale.

Più nel dettaglio, in base all’articolo 107 del Codice dei beni culturali, le riproduzioni dei beni appartenenti al patrimonio culturale devono avvenire dietro autorizzazione dell’amministrazione avente il bene in consegna e, qualora siano fatte per contatto tramite calchi, con modalità tali da non danneggiare gli originali.

All’articolo 108 del Codice dei beni culturali, invece, sono stabiliti i criteri per fissare i canoni di concessione e i corrispettivi dovuti per la riproduzione di un bene culturale. L’ammontare dei canoni di concessione e dei corrispettivi connessi alle riproduzioni dei beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni oggetto di riproduzione tenendo anche conto dei criteri indicati al comma 1 dell’articolo 108 del Codice dei beni culturali, ovvero: “a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente”.

I canoni di concessione per ogni tipo di utilizzo sono fissati nel Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero, ferma restando la facoltà dei singoli enti o di altri organi amministrativi di stabilire canoni di concessione diversi.

Al comma 3 dell’articolo 108 del Codice dei beni culturali sono previste alcuni casi di libera fruizione, ovvero delle ipotesi di riproduzione/duplicazione del bene culturale anche in assenza di autorizzazione: “Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. […]”. Il successivo comma 3-bis stabilisce altresì che “Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro”. In base a quanto stabilito dal comma 3-bis, quindi, ad esempio, l’utente di un social network potrebbe caricarvi l’immagine di un bene culturale, ma eventuali terzi non potrebbero appropriarsi dell’immagine del bene e diffonderla a loro volta per finalità commerciali, senza aver previamente ottenuto l’autorizzazione dell’amministrazione avente il bene in consegna.

  • Le precedenti decisioni del Tribunale di Firenze sul David di Michelangelo

La statua del David di Michelangelo è emblema del Rinascimento italiano ed è conosciuta in tutto il mondo. Pertanto, oltre a rappresentare un modello nel campo artistico, l’opera custodita dalla Galleria dell’Accademia di Firenze ha anche un grande impatto nel mondo pubblicitario. Negli ultimi anni il David di Michelangelo è stato infatti utilizzato da numerose società per promuovere i propri prodotti o servizi, dalle visite turistiche alle armi sino a vestiti ed occhiali; tuttavia, sempre senza ottenere la previa autorizzazione da parte dell’amministrazione che lo ha in consegna, e pertanto in violazione degli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali.

Il primo caso di uso indiscriminato dell’immagine del David risale al marzo del 2014, quando una nota società americana produttrice di armi ha utilizzato l’immagine del David di Michelangelo in una versione “armata” a scopo pubblicitario. A tale utilizzo il MiBACT, ritenendo offensivo e di cattivo giusto l’accostamento del David con le armi da fuoco, ha reagito con ferma opposizione, ottenendo lo spontaneo ritiro della campagna pubblicitaria da parte della società americana.

La prima decisione avente ad oggetto la statua del David di Michelangelo risale al 2017. La Galleria dell’Accademia ha citato in giudizio un’agenzia di viaggi – che offriva ai suoi clienti accessi ad alcuni musei italiani, tra cui la Galleria dell’Accademia, con visite guidate a prezzi peraltro superiori rispetto a quelli praticati dalla biglietteria del museo, che le consentivano notevoli margini di guadagno – per aver utilizzato una foto del David di Michelangelo sul suo materiale promozionale, tra cui dépliant, brochure e sito web. Secondo la Galleria dell’Accademia tali usi costituivano una violazione degli articoli 107 e 108 del Codice dei beni culturali poiché (i) la statua rientra tra i beni tutelati dal Codice, (ii) l’utilizzo di un’immagine raffigurante il David è considerato una riproduzione ai sensi del Codice, (iii) tale riproduzione non era stata autorizzata dalla Galleria dell’Accademia e (iv) nessun corrispettivo era stato pagato dall’agenzia di viaggi. Con ordinanza emanata il 25 ottobre 2017, il Tribunale di Firenze ha accolto le argomentazioni della Galleria dell’Accademia e ha statuito il divieto per l’agenzia viaggi di utilizzare e sfruttare a fini commerciali su tutto il territorio nazionale l’immagine del David di Michelangelo senza il permesso della Galleria dell’Accademia e senza il pagamento dei diritti di riproduzione. Conseguenza di tale decisione è stato non solo l’immediato ritiro dal mercato di tutto il materiale pubblicitario e mezzo stampa, ma anche l’oscuramento dell’immagine del David sul sito dell’agenzia turistica. Il Tribunale di Firenze ha inoltre condannato l’agenzia a pubblicare il testo dell’ordinanza su tre diversi quotidiani a diffusione nazionale e tre periodici scelti dalla Galleria dell’Accademia oltre che sul proprio sito web, nonché al pagamento di una penale pari a € 2.000 per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza delle disposizioni impartite.

  • La recente ordinanza del Tribunale di Firenze sulla riproduzione del David di Michelangelo

Il caso giudicato di recente dal Tribunale di Firenze ha visto condannato un centro di formazione toscano per scultori per aver diffuso sul proprio sito web una campagna pubblicitaria in cui veniva riprodotto il David di Michelangelo, senza aver ottenuto l’autorizzazione della Galleria dell’Accademia a riprodurre la nota statua (ordinanza del 14 aprile 2022 all’esito del procedimento di reclamo RG n. 1910/2022 proposto dal MiBACT).

In relazione al profilo del periculum in mora, il Tribunale ha innanzitutto accertato la prontezza del MiBACT nell’attivarsi in sede giudiziale non appena è venuto a conoscenza dell’utilizzo dell’immagine del David di Michelangelo per scopi commerciali da parte di una società. Inoltre, il Tribunale ha ritenuto “l’utilizzo dell’immagine del David sul sito di un’impresa commerciale [...] idoneo a svilire l’immagine del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo della qualità della impresa che, attraverso il suo uso promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato”, e ciò anche a prescindere dal fatto che si tratti di immagini tratte della copia dell’originale realizzata dalla società utilizzatrice. Pertanto, il Tribunale ha ravvisato la sussistenza dei “presupposti per la chiesta tutela in via d’urgenza evidenziando che per quanto i profili economici possano sempre essere regolati monetariamente, la volgarizzazione dell’opera d’arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’uso e il valore culturale dell’opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’autorità preposta dovesse giudicare incompatibili”. Peraltro, il Tribunale ha precisato che “poiché il danno all’immagine dell’opera pubblica è un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo […] tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio nelle more della definizione della causa di merito”.

Con riferimento al fumus boni iuris, il Tribunale ha poi ritenuto sussistente un vero e proprio diritto all’immagine del bene culturale. Secondo il Tribunale fiorentino, “grazie all’elencazione dettagliata delle attività sottratte all’obbligo di preventiva autorizzazione, emerge dunque l’esistenza giuridica di un quid pluris, del tutto diverso dal mero sfruttamento economico della riproduzione del bene culturale. Già sulla base del solo art. 108 co. 3-bis C.B.C., esso è individuabile nella destinazione funzionale dei beni culturali ad essere fruiti in modo culturalmente qualificato e gratuito da parte dell’intera collettività, secondo modalità che portino allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione. La ratio delle disposizioni esaminate, pertanto, saldamente delinea la tutela di un aspetto di carattere anche non patrimoniale attinente alla riproduzione del bene culturale. Tali aspetti essenziali altro non possono configurare che il diritto all’immagine del bene culturale”.

Il Tribunale ha precisato inoltre che la riproduzione dei beni culturali può avvenire solo ove sussistano i requisiti della pubblica fruizione di cui all’art. 108 del Codice dei beni culturali. Pertanto, per la legittima riproduzione dei beni culturali, non è sufficiente il pagamento di un corrispettivo, poiché elemento imprescindibile del lecito utilizzo dell’immagine del bene culturale è l’autorizzazione dell’Amministrazione, resa all’esito di una valutazione discrezionale circa la compatibilità dell’uso richiesto con la destinazione culturale e il carattere storico-artistico del bene. Dunque, la natura stessa del bene culturale “esige la protezione della sua immagine, mediante la valutazione di compatibilità riservata all’Amministrazione, intesa come diritto alla sua riproduzione nonché come tutela della considerazione del bene da parte dei consociati oltre che della sua identità, intesa come memoria della comunità nazionale e del territorio, quale nozione identitaria collettiva: tale contenuto configura un diritto all’immagine del bene culturale in senso pieno. L’oggetto della tutela del patrimonio culturale è infatti ivi individuato anche nella sua funzione identitaria collettiva (“memoria della comunità nazionale”): il patrimonio culturale esprime e conserva il patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico della collettività, la cui protezione viene ad individualizzarsi e concretizzarsi in relazione ai singoli beni culturali”.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Quali rischi legali e raccomandazioni per i videogiochi iperrealistici”.

L’EUIPO sulla legittimazione attiva in tema di DOP

Con una recente decisione la Quinta Commissione di Ricorso dell'Ufficio dell'Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (di seguito, “EUIPO”) ha affrontato il tema della legittimazione attiva di un gruppo di produttori ad azionare una DOP per formaggi e dell’ammissibilità di documenti presentati in sede di ricorso. La pronuncia in esame è inquadrata nell’ambito del procedimento di ricorso n. R1939/2021-5 “Halime(fig.)”/“Xαλλουμι”(Halloumi) o “Hellim”.

  • La vicenda che ha dato vita alla controversia

In data 19 maggio 2020, la società Cemet Oy ha depositato presso l’EUIPO la domanda di registrazione di marchio figurativo “HALIME”, per prodotti e servizi nelle classi 29, 30, 31 e 35.

A seguito di tale deposito, il Gruppo di trasformatori e produttori di latte di pecora e di capra (di seguito, “Opponente”) ha presentato opposizione nei confronti di tutti i prodotti e servizi designati dalla domanda “HALIME”.

L'opposizione è stata fondata sul rischio di evocazione tra la denominazione di origine protetta (DOP) “Xαλλουμι”(Halloumi) o “Hellim” per formaggi e il segno “HALIME”, giusto il disposto dell’articolo 8, paragrafo 6 del Regolamento sul marchio dell’Unione Europea (di seguito, “RMUE”).

Alla luce dei documenti prodotti dall’Opponente, la Divisione di Opposizione ha respinto l’opposizione per difetto di legittimazione attiva dell’Opponente ad esercitare i diritti derivanti dalla DOP “Xαλλουμι”(Halloumi) o “Hellim”.

In data 22 novembre 2021, l’Opponente ha proposto ricorso contro la suddetta decisione, presentando ulteriori documenti a supporto della propria legittimazione a proporre l’azione.

  • La decisione dell’EUIPO sulla legittimazione attiva del DOP

In data 25 luglio 2022, la Quinta Commissione di Ricorso dell’EUIPO ha accolto il ricorso e annullato la decisione impugnata.

Nello specifico, l’EUIPO ha evidenziato quanto segue:

- al fine di dimostrare la propria legittimazione attiva, l’Opponente ha depositato, unitamente alla memoria contenente i motivi del ricorso, elementi di prova aggiuntivi che, ai sensi dell'articolo 95, paragrafo 2, RMUE, l’EUIPO avrebbe potuto non considerare in quanto depositati tardivamente. Tuttavia, come anche dichiarato dalla Corte nell’ambito di casi analoghi, qualora la Commissione dei Ricorsi ritenga che gli elementi possano essere rilevanti ai fini dell'esito del ricorso, la presentazione di prove aggiuntive dopo il termine concesso e, eventualmente, per la prima volta dinanzi alla Commissione dei Ricorsi possono essere accettate;
- poiché le prove aggiuntive presentati in sede di ricorso completano le informazioni precedentemente presentate dall'Opponente sulla propria legittimazione attiva, le stesse sono rilevanti;
- dalle nuove prove addotte si evince che il “gruppo richiedente” la DOP è composto dai medesimi produttori di cui è composto il "Gruppo di trasformatori e produttori di latte di pecora e di capra", i.e. l'Opponente;
- ai sensi dell'articolo 45, paragrafo 1, lettera b), in combinato disposto con l'articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento dell’Unione Europea n. 1151/2012, qualsiasi gruppo di produttori e/o di trasformatori che opera con il prodotto in questione è legittimato ad agire al fine di garantire un'adeguata protezione della DOP;
- la Divisione di Opposizione è incorsa, pertanto, in errore nel concludere che l'Opponente non aveva dimostrato la propria legittimazione attiva;
- sul merito, considerato l'elevato livello di somiglianza tra il marchio figurativo “HALIME” e la DOP “Xαλλουμι”(Halloumi) o “Hellim” e la somiglianza tra i prodotti ed i servizi da entrambi rivendicati, si tratta di un chiaro caso in cui l'uso del marchio in relazione ai prodotti e servizi contrapposti evoca chiaramente la DOP, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b) del Regolamento dell’Unione Europea n. 1151/2012. Il segno contestato, pertanto, dovrà essere interamente rigettato.

Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso è stato accolto dall’ EUIPO e la domanda di registrazione di marchio figurativo “HALIME” respinta.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “DOP: la battaglia delle bollicine”.

Technology Media & Telecommunications

Fondo per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione: stanziate le risorse per il 2022

Il 31 agosto 2022 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 203 il decreto 21 luglio 2022 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la trasformazione digitale - che delinea il riparto delle risorse del Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione stanziate per il 2022 e dell’importo residuo dello stanziamento anno 2021.

Il Fondo per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione è stato costituito con l’articolo 239 del Decreto “Rilancio” (Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34). La sua dotazione serve a digitalizzare servizi della Pubblica amministrazione, ai cittadini e alle imprese.

L’articolo 1 prevede che il secondo riparto delle risorse assegnate per l’anno 2021 del Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione presenti al Capitolo di spesa 920, piano gestionale 30, siano destinate per intero alla copertura di spese per interventi, acquisti e misure di sostegno finalizzati a favorire la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni tramite lo sviluppo di piattaforme nazionali. Tali risorse sono da considerare così come riportate all’interno dell’esercizio finanziario 2022 e tuttora da ripartire, pari all’importo di euro 16.006.386,00.

Il secondo articolo, invece, divide in quattro gruppi le risorse del Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione stanziate sul Capitolo di spesa n. 920, piano gestionale 01, riferite all’assegnazione di competenza per l’anno 2022, che ammontano ad euro 52.263.017,00. In particolare, vengono destinati:

a) euro 15.263.017,00 alla copertura delle spese per interventi, acquisti di beni e servizi, misure di sostegno e progetti finalizzati a favorire l'attuazione dell'agenda digitale italiana ed europea, la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, anche attraverso lo sviluppo e la diffusione delle piattaforme digitali nazionali, nonché la diffusione delle competenze, dell'educazione e della cultura digitale;

b) euro 14.000.000,00 alla copertura delle spese per interventi, acquisti di beni e servizi, misure di sostegno e progetti finalizzati a favorire l'attuazione della strategia nazionale dei dati pubblici, assicurare la valorizzazione, la qualità e la fruibilità del patrimonio informativo pubblico, nonché garantire lo sviluppo, il potenziamento e la piena interoperabilità delle basi di dati e delle anagrafi delle pubbliche amministrazioni;

c) euro 18.000.000,00 alla copertura delle spese per interventi, acquisti di beni e servizi, misure di sostegno e progetti finalizzati a favorire l'innovazione tecnologica, la digitalizzazione delle imprese, lo sviluppo e la diffusione delle infrastrutture digitali materiali e immateriali e delle tecnologie tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, con particolare attenzione alle tecnologie emergenti, nonché l'attuazione del programma strategico sull'intelligenza artificiale e della strategia italiana per la banda ultra larga;

d) euro 5.000.000,00 alle attività e ai servizi di assistenza tecnica necessari alla realizzazione delle finalità di impiego previste dall'art. 239, comma 1 del decreto “Rilancio”.

L’ultimo articolo del decreto in analisi specifica che gli ambiti di intervento previsti dai due precedenti articoli possono essere realizzati dal Dipartimento per la trasformazione digitale sia tramite la stipula di convenzioni o accordi con amministrazioni ed enti pubblici o con società o consorzi a partecipazione pubblica, sia tramite interventi diretti da parte dello stesso dipartimento, realizzati mediante l’espletamento di procedure di evidenza pubblica e rispettando la normativa applicabile sugli aiuti di stato. In ogni caso, tali interventi devono essere realizzati tenendo conto di aspetti legati alla sicurezza cibernetica e rispettando il riparto delle competenze.

Pubblicata la Relazione sullo stato di avanzamento del Piano Nazionale Banda Ultralarga al 31 agosto 2022

Con comunicato stampa del 9 settembre scorso, Infratel ha informato della pubblicazione della Relazione sullo stato di avanzamento del Progetto Nazionale Banda Ultralarga, aggiornata al 31 agosto 2022. Questa nuova edizione fa seguito a quella pubblicata lo scorso 4 agosto, nella quale erano rappresentati i dati sullo stato di avanzamento del Piano aggiornati al 31 luglio 2022.

La Strategia nazionale per la Banda Ultra Larga – “Verso la Gigabit Society”, pianificata nell’ambito del PNRR e approvata il 25 maggio 2021 dal Comitato interministeriale per la Transizione Digitale (CiTD), ha come obiettivo di portare la connettività a 1 Gbp/s su tutto il territorio italiano entro il 2026 e favorire lo sviluppo di infrastrutture di telecomunicazioni fisse e mobili.

La Strategia include diversi Piani di intervento pubblico per promuovere e incentivare la copertura di aree geografiche in cui l’offerta di infrastrutture e servizi digitali ad altissima velocità da parte degli operatori di mercato è assente o insufficiente.

Le attività operative del Piano Nazionale Banda Ultralarga sono state avviate nel 2016 da Infratel Italia S.p.A., società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico. In particolare, l’obiettivo di Infratel è di intervenire nelle aree a fallimento di mercato, attraverso la realizzazione e l’integrazione di infrastrutture a banda larga e ultra larga al fine di estendere le opportunità di accesso a Internet veloce per cittadini, imprese e Pubbliche Amministrazioni. È attraverso Infratel che il Ministero dello Sviluppo Economico implementa le misure definite nella Strategia Nazionale per la Banda Ultralarga con l’obiettivo di ridurre le disparità infrastrutturali e di mercato esistenti nel territorio italiano, attraverso la creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche.

La Relazione in commento descrive lo stato di avanzamento del Piano focalizzandosi sulle cinque fasi operative principali: la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva, l’esecuzione dei lavori, il collaudo e l’avvio dei servizi.

Nella fase di progettazione definitiva sono identificati i tracciati delle reti da realizzare, le infrastrutture da riutilizzare, gli Enti competenti al rilascio delle autorizzazioni per l’infrastrutturazione in tecnologia FTTH, nonché i siti necessari per l’infrastrutturazione in tecnologia FWA. A seguito dell’approvazione dei progetti definitivi da parte di Infratel, si apre la fase della progettazione esecutiva, finalizzata all’ottenimento delle autorizzazioni necessarie. All’esito della fase di progettazione esecutiva possono essere avviati i lavori nei cantieri. Completati i lavori nei cantieri, Infratel svolge le verifiche finali che, in caso di esito positivo, condurranno al rilascio di un collaudo positivo.

La Relazione indica che, al 31 agosto 2022, la progettazione definitiva relativa alla realizzazione della rete in tecnologia FTTH è stata approvata in 6.133 Comuni, ossia 13 in più rispetto al 31 luglio 2022. Si registra un aumento anche in relazione al numero di Comuni in cui è stata approvata la progettazione definitiva relativa alla rete in tecnologia FWA. Infatti, al 31 agosto sono 6.813 – in aumento di 11 unità rispetto al 31 luglio scorso – i Comuni con progetti approvati.

I Comuni in relazione ai quali è stata approvata la progettazione esecutiva delle reti in tecnologia FTTH sono complessivamente 4.827, mentre è pari a 2.818 il numero di progetti relativi alla rete in tecnologia FWA approvati in fase esecutiva; si assiste, dunque, ad un aumento, rispettivamente, di 84 e 24 unità rispetto al 31 luglio scorso.

Inoltre, al 31 agosto 2022, sono state completate le attività di infrastrutturazione in 5.194 dei complessivi 7.046 cantieri aperti per la realizzazione di reti in tecnologia FTTH; rispetto al 31 luglio 2022, sono stati aperti 152 nuovi cantieri e sono state completate le attività in ulteriori 138 cantieri. Per quanto riguarda l’infrastrutturazione in tecnologia FWA, sono stati aperti 26 nuovi cantieri rispetto al 31 luglio scorso, per un totale di 2.762; i lavori sono stati portati a termine in 2.653 cantieri, con un aumento di 56 unità rispetto all’ultimo aggiornamento.

I lavori relativi all’infrastrutturazione in tecnologia FTTH si sono conclusi con collaudo positivo in 2.373 Comuni, ossia in 61 casi in più rispetto al 31 luglio 2022; i lavori di infrastrutturazione in tecnologia FWA hanno avuto esito positivo in 822 siti, con un aumento di 41 unità rispetto al precedente aggiornamento.

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La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna Angilletta, Giordana Babini, Camila Crisci, Tamara D’Angeli, Enila EleziFilippo Grondona, Lara MastrangeloAlessandra Tozzi, Carlotta Busani, Carolina Battistella, Deborah Paracchini, Vincenzo Giuffré, Cristina Criscuoli, Giulia Zappaterra, Maria Chiara Meneghetti, Giacomo Lusardi, Tommaso Ricci e Maria Rita Cormaci.

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea e Flaminia Perna.

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