UPC: la Corte d'Appello si pronuncia in materia di condanna alle spese in caso di estinzione del processo per cessata materia del contendere
Una pronuncia resa dalla Corte d'Appello il 4 ottobre scorso ha chiarito a chi spetti il pagamento delle spese processuali nel caso in cui la condanna alle spese di lite intervenga a seguito del raggiungimento di un accordo transattivo, nel quale la parte convenuta in giudizio si conformi a quanto richiesto dall'attrice.
La decisione trae origine da un procedimento cautelare instaurato, a seguito di una lettera di diffida, innanzi alla divisione locale di Monaco da una società statunitense operante nel settore delle biotecnologie avverso un concorrente per l'asserita contraffazione di un brevetto rivendicante un dispositivo applicato a protesi valvolari cardiache. Nel corso del procedimento di primo grado, la società resistente aveva inviato alla ricorrente una dichiarazione con la quale assumeva l'impegno a cessare la condotta contestata, uniformandosi di fatto a quanto chiesto dall'istante con lettera di diffida ante causam. Di qui la cessazione della materia del contendere e il disaccordo tra le parti sul soggetto che avrebbe dovuto sostenere le spese di lite. Il procedimento di primo grado si concludeva il 19 dicembre 2023 quando la divisione tedesca, preso atto dell'impegno assunto dalla resistente, dichiarava con ordinanza l'estinzione del processo a fronte della cessata materia del contendere, secondo quanto stabilito dalla Rule 360, e condannava la resistente alla rifusione delle spese di lite.
In questo contesto, la resistente ha quindi impugnato avanti la Corte di Lussemburgo tale provvedimento chiedendo la revoca della condanna alle spese e promuovendo istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione appellata. La Corte ha tuttavia rigettato l'appello e confermato le conclusioni della divisione locale tedesca; in particolare, i giudici di Lussemburgo hanno osservato che, qualora nel corso di un procedimento il convenuto si impegni a conformarsi alle richieste dell'attrice rilasciando apposita dichiarazione, non occorre entrare nel merito della vertenza e della fondatezza delle domande attoree per determinare quale parte sarebbe stata vittoriosa all'esito del procedimento. Il solo fatto che la resistente abbia assunto l'obbligo di cessare la commercializzazione dei dispositivi ritenuti interferenti rende la pretesa della ricorrente soddisfatta; conseguentemente tale parte ricorrente andrà considerata quale parte vittoriosa nella vertenza.
La Corte d'Appello, in accordo con i togati di Monaco, ha infatti confermato che la transazione della controversia nel corso del procedimento non sarebbe sussumibile né nelle cd. "circostanze eccezionali" di cui all'articolo 69(2) UPCA, che consentono di derogare alla regola generale secondo la quale la condanna alle spese segue il principio della soccombenza, né nell'ipotesi di cui all'articolo 69(3) UPCA, in base al quale ciascuna parte deve farsi carico di costi non necessari che abbia causato alla Corte o alla controparte.
Nel proprio iter argomentativo, i giudici d'Appello hanno anche valorizzato le tempistiche con le quali la resistente avrebbe manifestato la propria disponibilità ad adempiere, intervenuta non già subito dopo la ricezione della lettera di diffida, ma soltanto in corso di causa.
È stato infine osservato come l'interpretazione fornita dalla Corte dell'articolo 69 UPCA e della Rule 360 sia coerente con il principio enunciato dall'articolo 14 della Direttiva 2004/48, secondo cui la parte soccombente, di norma, deve farsi carico delle spese di lite, in misura ragionevole e proporzionata, nonché di altri oneri eventualmente sopportati dalla parte vincitrice. L'interpretazione dei giudici di Lussemburgo trova anche fondamento in quanto già affermato a più riprese dalla CGUE secondo cui la disposizione della direttiva in parola avrebbe anche lo scopo di rafforzare il livello di protezione dei diritti di proprietà industriale, poiché se l'allocazione delle spese non rispettasse il principio di soccombenza, si rischierebbe di dissuadere i titolari dei diritti dall'intraprendere azioni legali a tutela dei propri interessi.