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7 marzo 202419 minuti di lettura

Innovation Law Insights

7 marzo 2024
Podcast

Come l'Intelligenza Artificiale viene regolamentata negli Stati Uniti

Giulio Coraggio e Danny Tobey di DLA Piper affrontano il tema della regolamentazione dell'intelligenza artificiale negli Stati Uniti. Puoi ascoltare il podcast QUI

 

Artificial Intelligence

Siete un provider o un deployer ai sensi dell’AI Act?

La corretta qualificazione, specialmente tra provider e deployer secondo l'AI Act dell'UE, comporta un insieme di obblighi e responsabilità e, in alcuni casi, la linea tra i due ruoli potrebbe apparire sfumata.

Stiamo avendo notevoli discussioni con i clienti sul loro ruolo nell'ambito dell'AI Act comunitario poiché, nella maggior parte dei casi, le aziende non richiedono più sistemi di AI "pronti all'uso". Inoltre, a causa del rischio di contestazioni legali dovute a violazioni di copyright o della normativa privacy, o per il rischio di divulgazione a terzi di segreti commerciali e/o informazioni confidenziali, le aziende stanno esponenzialmente richiedendo di:

  1. avere sistemi di AI addestrati sul loro materiale, creando un ambiente sicuro dove hanno il controllo su qualsiasi contenuto e potenzialmente un migliore controllo sugli output; e
  2. avere un system integrator che sviluppi un sistema di AI basato su un algoritmo e materiali forniti dall'azienda stessa.

In questi scenari, non è chiaro se l'azienda che sfrutta il sistema di AI possa ancora rientrare solo nella categoria di deployer o possa essere qualificata come provider secondo l'AI Act dell'UE.

Nella versione finale dell'AI Act, un ‘provider’ significa “una persona fisica o giuridica, un'autorità pubblica, un'agenzia o altro organismo che sviluppa un sistema di AI o un modello di IA generale o che fa sviluppare un sistema di AI o un modello di IA generale e li immette sul mercato [cioè li rende disponibili sul mercato] o mette in servizio il sistema sotto il proprio nome o marchio, sia a pagamento che gratuitamente”.

Invece un ‘deployer’ è “qualsiasi persona fisica o giuridica, autorità pubblica, agenzia o altro organismo che utilizza un sistema di AI sotto la propria autorità, eccetto quando il sistema di AI è utilizzato nell'ambito di un'attività personale non professionale”.

La distinzione è rilevante poiché la maggior parte degli obblighi e delle responsabilità sotto l'AI Act dell'UE sono a carico dei provider, e in particolare, il considerando 53 dell'attuale bozza prevede che “È opportuno che una specifica persona fisica o giuridica, definita come provider, assuma la responsabilità dell'immissione sul mercato o della messa in servizio di un sistema di AI ad alto rischio, indipendentemente dal fatto che tale persona fisica o giuridica sia colui che ha progettato o sviluppato il sistema” e il considerando 57b copre anche lo scenario in cui un provider iniziale di un sistema di AI non è più un provider sotto l'AI Act dell'UE a causa dell'evoluzione dello sviluppo del sistema.

Come nel caso del GDPR, la corretta qualificazione di una società non può essere concordata contrattualmente, ma dipende da circostanze fattuali. Di conseguenza, un notevole livello di personalizzazioni dei sistemi di AI che viene sia immesso sul mercato che semplicemente messo in servizio sotto il suo nome da un'azienda potrebbe portare all'ente ad essere riconfigurato come provider, anche se l'attività di sviluppo è stata completamente esternalizzata. Allo stesso modo, se un sistema di AI viene immesso sul mercato da un'azienda con il suo marchio, quell'entità è probabile che sia considerata uno sviluppatore, anche se l'azienda ha esternalizzato tutta l'attività di sviluppo. Allo stesso tempo, un integratore di sistema potrebbe essere qualificato come provider se le sue personalizzazioni rendono il sistema di AI successivamente offerto ai suoi clienti sostanzialmente diverso dal sistema originale.

Non esiste una soluzione unica per tutti gli scenari, e deve essere eseguita una valutazione caso per caso. Tuttavia, dato che l'AI Act si concentra prevalentemente sugli obblighi applicabili ai provider, anche se i deployer devono verificare le rappresentazioni del provider, la corretta qualificazione di una parte ha un impatto significativo in termini di esposizione al rischio in caso di potenziali sfide da parte dei regolatori.

Inoltre, la qualificazione secondo l'AI Act dell'UE potrebbe avere anche implicazioni sotto il GDPR. Infatti, se viene rappresentato che un provider è un'entità con un controllo effettivo sul sistema di AI, c'è il rischio che le autorità di protezione dei dati possano qualificare quest'ultimo come un controllore dei dati o almeno un controllore congiunto con il deployer, mentre tipicamente i provider sono processori dei dati.

Di conseguenza, alcune precauzioni devono essere messe in atto per evitare che, in caso di indagine o sfida da parte di un cliente o di un concorrente, l'entità che utilizza il sistema di AI sia anche qualificata come provider con le conseguenti obbligazioni e responsabilità.

Sull’argomento, potete leggere l’articolo “AI Act Finalizzato: Ecco Cosa E’ Stato Concordato”.

 

Data Protection & Cybersecurity

Conservazione dei metadati delle e-mail dei dipendenti: il Garante avvia una consultazione pubblica e sospende l’efficacia delle linee guida

A seguito dell’emanazione delle controverse linee guida su “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati” (“Linee Guida”), lo scorso 27 febbraio il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato una consultazione pubblica, differendo anche l’efficacia delle Linee Guida.

Lo scopo della consultazione pubblica è quello di acquisire osservazioni e proposte dalle parti interessate riguardo a due aspetti principali:

  • la congruità del termine di conservazione dei metadati, generati e raccolti automaticamente dai protocolli di trasmissione e smistamento delle e-mail e relativi alle operazioni di invio, ricezione e smistamento; e
  • le possibili forme e modalità di utilizzo di tali metadati, che ne renderebbero necessaria una conservazione superiore a quella indicata nelle Linee Guida, vale a dire oltre il termine di 7/9 giorni dalla raccolta dei metadati.

La consultazione durerà 30 giorni - ovvero fino al 28 marzo 2024 - e consentirà a datori di lavoro pubblici e privati, esperti della disciplina di protezione dei dati e a tutti i soggetti interessati di inviare al Garante le proprie osservazioni, informazioni e proposte in relazione alle Linee Guida.

A seconda delle osservazioni ricevute, il Garante potrà decidere di fornire chiarimenti o di modificare il contenuto delle Linee Guida. In tal caso, il termine iniziale di efficacia delle Linee Guida sarà rinviato fino all’adozione di tali chiarimenti o modifiche.

Al contrario, qualora il Garante decida di non emanare ulteriori indicazioni a seguito della consultazione, le Linee Guida diventeranno applicabili 60 giorni dopo la scadenza del termine della consultazione pubblica, vale a dire dal 27 maggio 2024.

DLA Piper ha deciso di partecipare alla consultazione per rappresentare gli interessi dei propri clienti, qualora voleste partecipare al contributo dello studio, potete scrivere a giulio.coraggio@dlapiper.com

Per saperne di più sulle Linee Guida puoi leggere l’articolo: “Il Garante Privacy limita a 7 giorni la conservazione dei metadati delle email dei dipendenti”.

 

Intellectual Property

Le Polaroid possono essere un marchio registrato?

Recentemente il Tribunale dell'UE si è pronunciato sul ricorso presentato dalla nota azienda di fotografie istantanee relativamente all'ammissibilità della forma delle polaroid come marchio.

La vicenda giudiziaria inizia nel gennaio 2017: Polaroid, creatrice dell'iconica fotocamera che realizza foto istantanee richiede all'EUIPO la registrazione come marchio UE di un rettangolo contenente nella parte superiore un quadrato. La grafica, raffigurata di seguito, corrisponde alla cornice standard delle fotografie stampate.

La richiesta viene accolta, tuttavia, nell'aprile 2018 viene presentata domanda di invalidità del marchio sulla base, tra i vari, dell'art. 7 (1)(b) EUTMR, ossia per mancanza di carattere distintivo in relazione alla percezione del pubblico costituito da consumatori dei prodotti in questione. In altre parole, secondo la parte contestante, qualora un consumatore fosse posto davanti al marchio in questione, non sarebbe stato in grado di ricondurlo all'azienda Polaroid. Si aggiunga a sostegno di questa tesi che, spesso, l'EUIPO ha rifiutato i marchi formati da semplici figure geometriche o combinazioni delle stesse, in quanto, eccettuati casi particolari, non si vuole concedere il monopolio di una forma ad un'azienda. Il segno in questione, a ben vedere, potrebbe sembrare un'etichetta o un elemento decorativo piuttosto che costituisce la cornice di un marchio, piuttosto che il marchio stesso.

È tuttavia evidente a chiunque che la tipologia di fotografia in questione viene chiamata Polaroid, richiamando quindi necessariamente l'azienda che le produce. Occorre quindi domandarsi se la fama che ha acquisito nel tempo sia effettivamente un elemento discretivo per la registrazione o meno del segno.

Da ultimo, la decisione del Tribunale dell'UE pubblicata il 7 febbraio 2024 ritiene che, vista la semplicità delle geometrie che formano il marchio, questo non possa essere effettivamente registrato, essendo ormai giurisprudenza costante che "un segno consistente in una combinazione semplice e poco originale di figure geometriche elementari, se utilizzato come marchio, non sarà riconosciuto dal consumatore medio come indicazione dell'origine commerciale dei prodotti o servizi che designa". A nulla rilevano pertanto le osservazioni di Polaroid secondo le quali la disposizione del quadrato nella parte superiore del rettangolo è tale da conferire carattere distintivo. Si conclude, almeno per ora la vicenda che, si sta svolgendo, peraltro, anche in altre giurisdizioni estere.

Su un tema simile potrebbe interessarvi: “La capacità distintiva del marchio figurativo nel caso HARIBO

Marchio di forma: il Tribunale di Milano concede un'inibitoria paneuropea a tutela della nota borsa "Le Pliage"

Con una decisione del 5 gennaio scorso, il Tribunale di Milano ha concesso un'inibitoria paneuropea nei confronti di una società britannica, vietandole di commercializzare un prodotto in contraffazione della nota borsa "Le Pliage" di Jean Cassegrain/Longchamp.

La vicenda in esame ha origine da un ricorso presentato dalle società Jean Cassegrain S.a.s., Longchamp S.a.s. e Longchamp Italia S.r.l.. La prima detiene i diritti sul marchio nominativo "Le Pliage" e sul marchio di forma registrato e non registrato che tutela le caratteristiche distintive della borsa denominata "Le Pliage"; la seconda è l'unico licenziatario dei diritti di Jean Cassegrain S.a.s.; infine, la terza agisce come sub-licenziataria e distributrice esclusiva per il territorio italiano dei prodotti Longchamp, tra cui rientrano le borse "Le Pliage".

Parte resistente, invece, era una società britannica che aveva messo in vendita un prodotto che imitava la forma del "Le Pliage" sul suo sito web, accessibile in tutta Europa, compresa una versione italiana del sito, dove un consumatore italiano poteva acquistare e far recapitare i prodotti direttamente sul territorio italiano.

Inizialmente, il Tribunale di Milano ha esaminato la questione della giurisdizione, poiché le parti ricorrenti avevano intentato un'azione legale contro una società di origine extraeuropea.

A conferma del fatto che i tribunali italiani avessero giurisdizione sulla questione, il Tribunale ha osservato che, per fondare la giurisdizione, è sufficiente che vi sia una minaccia di commissione di atti di violazione sul territorio italiano, ai sensi dell'articolo 126(a) del Regolamento dell'UE n. 1001/27 e, in ogni caso, che vi sia la possibilità che i diritti di proprietà intellettuale del ricorrente possano essere violati sul territorio italiano, ai sensi dell'art. 7(2) del Regolamento dell'UE n. 1215/12. Qui, i ricorrenti sono stati in grado di acquistare i prodotti contestati dalla versione italiana del sito web della società britannica, prodotti che sono stati consegnati in Italia dalla società britannica, confermando così che la vendita di questi prodotti è diretta al mercato italiano e ai consumatori italiani, e non solo a quelli comunitari. Inoltre, ai sensi dell'art. 125(2) Reg. 1001/17 (cfr. altresì comma 2 dell'art. 120 c.p.i.) la circostanza che parte resistente non avesse la sua sede o il suo domicilio in uno degli Stati membri ha reso legittima la sua evocazione in giudizio dinanzi al Tribunale meneghino in relazione al fatto che la ricorrente Longchamp Italia S.r.l. ha sede in Milano.

Entrando, poi, nel merito della questione, dopo l'analisi degli elementi distintivi del marchio di forma registrato e non registrato rivendicato dalle società resistenti, il Tribunale di Milano ha riconosciuto che la società britannica stesse effettivamente commercializzando dei modelli di borse che riprendevano tutte le caratteristiche distintive, arbitrarie e capricciose, proprie della borsa "Le Pliage". Inoltre, grazie all'ampia giurisprudenza sulla borsa "Le Pliage" depositata dalle ricorrenti, il Tribunale ha nuovamente confermato che i marchi tridimensionali non registrati e registrati di proprietà della società francese godessero di un elevato grado di reputazione.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Milano ha stabilito che la commercializzazione, l'offerta in vendita e la vendita dei prodotti contestati, in imitazione della famosa borsa "Le Pliage" protetta dai suddetti titoli, costituisse "senza ombra di dubbio la contraffazione individuata ex art. 20 lett. c) c.p.i. e di cui all'art. 9 lett. c) del Regolamento UE n. 1001/17". Ciò in quanto sussisteva "in maniera evidente l'indebito vantaggio per la parte resistente derivante dallo sfruttamento pressoché integrale delle forme protette dalle registrazioni comunitarie, utilizzate da essa senza giusto motivo al solo fine di appropriarsi della particolare notorietà connessa ai marchi registrati e ampiamente utilizzati dalle ricorrenti".

In aggiunta, secondo il Tribunale di Milano "il protrarsi eventuale dell'offerta in commercio e della commercializzazione di tale modello di borsa [avrebbe determinato] senza dubbio alcuno un pregiudizio alla stessa rinomanza dei marchi azionati,  risultando i prodotti diffusi dalla resistente sottratti a qualsiasi controllo di qualità che determina il concreto pericolo di un appannamento dell'apprezzamento del marchio da parte del pubblico dei  consumatori laddove fosse verificata la minore qualità di esso e determinata inevitabilmente una confusione circa l'origine imprenditoriale di esso, tenuto conto dell'identità tra il prodotto originale e quello contestato che produce un diretto fenomeno di assimilazione della provenienza di entrambi dallo stesso produttore-ideatore".

Per tali motivi, a tutela del noto marchio di forma, il Tribunale di Milano ha ritenuto necessario emettere un'ordinanza cautelare di inibitoria c.d. paneuropea all'ulteriore commercializzazione del modello di borsa contraffatto nei confronti della società resistente. Tale ordine, dunque, è stato esteso a tutto il territorio dell'Unione europea ai sensi dell'art. 126(1) e dell'art 131(2) Reg. 1001/17, inibitoria assistita dalla penale specificata in dispositivo.

La sentenza esaminata evidenzia che, quando prodotti contraffatti, violando un marchio noto, vengono venduti non solo online in Europa, ma sono chiaramente destinati al mercato italiano, il titolare del marchio può agire giudizialmente in Italia e richiedere un'inibitoria paneuropea, anche se il contraffattore non ha sede in Italia. Di conseguenza, in simili casi, tutti i titolari di diritti di proprietà intellettuale potranno scegliere l'Italia come giurisdizione appropriata per richiedere misure di protezione anche a livello europeo.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo "Violazione dei marchi UE di rinomanza: l’inibitoria paneuropea può essere concessa in automatico?".

 

Food and Beverages

Sono in arrivo le modifiche alle famose “Breakfast Directives”

È stata recentemente condivisa la proposta di Direttiva del Parlamento Europeo volta a modificare le note “Breakfast Directives”.

Queste direttive hanno ottenuto il simpatico appellativo in ragione dei prodotti a cui esse si riferiscono: la Direttiva 2001/110/CE del Consiglio concerne il miele, la Direttiva 2001/112/CE ha ad oggetto i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana, la Direttiva 2001/113/CE riguarda invece le confetture, gelatine e marmellate di frutta e la crema di marroni destinate all'alimentazione umana, mentre la Direttiva 2001/114/CE concerne alcuni tipi di latte.

Questi atti normativi europei stabiliscono norme comuni sulla composizione, sulle denominazioni di vendita, sull'etichettatura e sulla presentazione di tali prodotti per garantirne la libera circolazione nel mercato interno e aiutare i consumatori a compiere scelte informate.

Tra le proposte di modifica più interessanti presentate dal testo condiviso dal Parlamento Europeo spiccano quelle concernenti l’etichettatura del paese di origine del miele ed il sistema di tracciabilità di tale prodotto.

Nello specifico, il testo proposto prevede che, nel caso in cui il miele sia originario di più di un paese, i paesi di origine dovranno essere indicati sull’etichetta nel campo visivo principale, in ordine decrescente di peso, con la percentuale che ciascuno di essi rappresenta.

La norma specifica anche che è ammessa “una tolleranza del 5% per ogni singola quota all’interno della miscela, calcolata sulla base della documentazione di tracciabilità dell’operatore”.

Peraltro, nel caso di confezioni di miele di peso inferiore a 30 grammi, i nomi dei paesi di origine potranno essere sostituiti da un codice di due lettere, conformemente all’ultima versione in vigore della norma internazionale ISO 3166-1 a due lettere (alfa-2).

Con riferimento al sistema di tracciabilità, la proposta di Direttiva prevede che venga conferito alla Commissione UE il potere di adottare atti di esecuzione che stabiliscono le modalità di “analisi per verificare se il miele è conforme alle disposizioni della presente direttiva” e “per individuare il miele adulterato”.

Rispetto invece al latte, è prevista la semplificazione dell’etichettatura di alcune categorie di prodotti: la distinzione tra latte "evaporato" e "condensato" sarà eliminata, in linea con la norma del Codex Alimentarius e sarà autorizzato anche il latte disidratato senza lattosio.

Le modifiche, come menzionato, riguardano anche i succhi di frutta e tendono verso le nuove esigenze dei consumatori. Saranno infatti disponibili tre nuove categorie di prodotto: "succo di frutta a ridotto contenuto di zucchero", "succo di frutta concentrato a ridotto contenuto di zucchero" e "succo di frutta concentrato a ridotto contenuto di zucchero".

La revisione delle “Breakfast Directives”, da molto attesa dagli esperti e dagli operatori del settore, comporterà ovviamente l’obbligo per gli Stati membri di recepire efficacemente nei rispettivi ordinamenti le modifiche proposte, al fine di raggiungere l’obiettivo di armonizzazione sotteso alla Direttiva esaminata.

Su un argomento simile può essere d’interesse l’articolo: “Commissione Europea pubblica comunicazione etichettatura vini

 

Technology Media and Telecommunication

La Commissione presenta nuove iniziative per le infrastrutture digitali

Il 21 febbraio 2024, la Commissione europea ha presentato alcune iniziative sulla connettività digitale volte a promuovere l’innovazione, la sicurezza e la resilienza delle infrastrutture digitali, avviando una consultazione pubblica.

Tra tali iniziative la pubblicazione del Libro bianco “Come affrontare adeguatamente le esigenze dell’Europa in termini di infrastruttura digitale?” e della Raccomandazione sulla sicurezza e la resilienza delle infrastrutture di cavi sottomarini.

Il Libro bianco individua le principali sfide e i trend che riguardano il settore delle infrastrutture digitali e presenta alcuni possibili scenari con l’obiettivo di realizzare le reti digitali del futuro; gestire in modo ottimale la transizione verso nuove tecnologie e nuovi modelli di business; soddisfare le necessità degli utenti di connettività per il futuro; sostenere la competitività dell’economia dell’UE; garantire infrastrutture sicure e resilienti nonché la sicurezza dell’economia dell’Unione. 

Su tali scenari delineati nel Libro Bianco la Commissione ha anche avviato una consultazione pubblica, che si concluderà il 30 giugno 2024.

Come evidenziato dalla Commissione nel Libro bianco, garantire la sicurezza e la sostenibilità delle infrastrutture digitali è una delle principali priorità della Commissione e rappresenta infatti uno dei quattro “punti cardinali” del programma strategico per il decennio digitale 2030 dell’UE (“Digital Decade Policy Programme 2030”), ossia il programma della Commissione che mira a guidare la trasformazione digitale dell’UE entro il 2030.

Le principali iniziative elaborate nel Libro bianco sono volte:

  • alla creazione di una rete “informatica collaborativa complessa” o “rete 3C” per la realizzazione di infrastrutture e piattaforme con particolari caratteristiche tecniche che potrebbero essere utilizzate per organizzare lo sviluppo di tecnologie innovative e di applicazioni di intelligenza artificiale;
  • a un migliore sfruttamento delle sinergie tra le iniziative già esistenti, come l’importante progetto di comune interesse europeo sulle infrastrutture e i servizi cloud di prossima generazione, e i programmi di finanziamento;
  • al pieno utilizzo del potenziale del mercato unico digitale delle telecomunicazioni, valutando l’adozione di misure volte a garantire la parità di condizioni e riconsiderando l’ambito di applicazione e gli obiettivi del quadro normativo che attualmente disciplina il mercato unico digitale.

La Raccomandazione sulla sicurezza e la resilienza delle infrastrutture di cavi sottomarini trova invece fondamento nell’esigenza, rappresentata dalla Commissione, secondo cui l’UE dovrebbe incentivare l’installazione e rafforzare la sicurezza e la resilienza delle infrastrutture strategiche di cavi sottomarini. In particolare, la raccomandazione mira a migliorare il coordinamento all'interno dell’UE, ad esempio valutando e attenuando i rischi per la sicurezza, istituendo un pacchetto di strumenti per la sicurezza dei cavi e razionalizzando le procedure per il rilascio delle autorizzazioni.

La Commissione sta inoltre istituendo un gruppo di esperti sulle infrastrutture di cavi sottomarini, composto dalle autorità degli Stati membri dell’UE.

Come si legge nel comunicato stampa con cui è stata annunciata l’adozione di queste iniziative, sulla base del Libro bianco e della Raccomandazione “si potrebbe pensare, a lungo termine, alla creazione di un sistema di governance comune dell'UE unitamente a una revisione degli strumenti disponibili per sfruttare meglio gli investimenti privati a sostegno dei progetti riguardanti cavi di interesse europeo (Cable Projects of European Interest - CPEI)”.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Gigabit Infrastructure Act: Raccomandazione della Commissione UE”.


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna Angilletta, Matteo Antonelli, Edoardo Bardelli, Carolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila Crisci, Cristina Criscuoli, Tamara D’Angeli, Chiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila Elezi, Alessandra Faranda, Nadia FeolaLaura Gastaldi, Vincenzo GiuffréNicola Landolfi, Giacomo Lusardi, Valentina Mazza, Lara Mastrangelo, Maria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Maria Vittoria Pessina, Tommaso Ricci, Miriam Romeo, Rebecca Rossi, Roxana Smeria, Massimiliano TiberioGiulia Zappaterra.

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea, Flaminia Perna e Matilde Losa.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena Varese, Alessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

Scoprite Prisca AI Compliance, il tool di legal tech sviluppato da DLA Piper per valutare la maturità dei sistemi di intelligenza artificiale rispetto alle principali normative e standard tecnici qui.

È possibile sapere di più su Transfer, il tool di legal tech realizzato da DLA Piper per supportare le aziende nella valutazione dei trasferimenti dei dati fuori dello SEE (TIA) qui e consultare una pubblicazione di DLA Piper che illustra la normativa sul Gambling qui, nonché un report che analizza le principali questioni legali derivanti dal metaverso qui, e una guida comparativa delle norme in materia di loot boxes qui.

DLA Piper Studio Legale Tributario Associato tratta i dati personali in conformità con l'informativa sul trattamento dei dati personali disponibile qui.

Qualora non si volesse più ricevere gli Innovation Law Insights o ci si volesse iscrivere alla stessa, è possibile inviare un'email a Silvia Molignani.