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7 settembre 202328 minuti di lettura

Innovazione e diritto: le novità della settimana

7 settembre 2023
Podcast

Con dei super Professori su intelligenza artificiale generativa e il diritto del futuro

Ripubblichiamo l’episodio del nostro podcast con professori delle principali Università italiane che si confrontano sulle delicate problematiche legali derivanti dall’intelligenza artificiale generativa. L’episodio è disponibile qui.

 

Data Protection & Cybersecurity

Nuova Legge Svizzera sulla Protezione dei Dati in vigore: cosa cambia per le aziende?

A partire dal 1° settembre 2023, la Svizzera ha implementato una nuova Legge federale sulla Protezione dei Dati (LPD), sostituendo la precedente legge del 1992. Questa riforma è stata necessaria per adeguare la legislazione svizzera alle nuove sfide poste dall'evoluzione tecnologica e per allinearla con il Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR). L'allineamento con il GDPR europeo è fondamentale per mantenere la libera circolazione dei dati con l'Unione Europea e preservare la competitività delle imprese svizzere. Vengono introdotte nuove norme più rigorose per le aziende straniere che operano in Svizzera, come la necessità di nominare un rappresentante svizzero. Si rafforza anche l'attenzione sui diritti degli interessati e vengono stabiliti nuovi requisiti per la notifica di violazioni dei dati. Le aziende europee che operano in Svizzera devono essere pronte ad adeguarsi alla normativa. Le aziende che si sono già conformate al GDPR troveranno il processo di adattamento relativamente agevole. Tuttavia, la LPD introduce diverse novità rilevanti:

  • Ambito di Applicazione oggettivo ridotto: La legge copre ora solo i dati delle persone fisiche, escludendo quelli delle persone giuridiche.
  • Ambito di applicazione territoriale ampliato: La legge svizzera estende significativamente la sua portata territoriale, ispirandosi al GDPR, per garantire che le aziende globali siano responsabili della protezione dei dati personali degli svizzeri. Questo vale anche per le attività che hanno un impatto in Svizzera, anche se avviate dall'estero.
  • Rappresentante in Svizzera: Le organizzazioni straniere che trattano dati personali di individui svizzeri dovranno nominare un rappresentante in Svizzera. Questa obbligazione si attiva se le seguenti condizioni sono soddisfatte:
    • l'attività di trattamento dei dati è collegata all'offerta di beni e/o servizi agli individui svizzeri o al monitoraggio del loro comportamento;
    • il trattamento dei dati è effettuato su larga scala, avviene regolarmente e presenta un alto rischio per i diritti dei soggetti interessati.
  • Dati Sensibili: La categoria dei dati considerati sensibili ora include anche dati genetici e biometrici.

Principi di protezione fin dalla Progettazione: Sono stati introdotti i concetti di "Privacy by Design" e "Privacy by Default" già previsti dal GDPR.

  • Analisi d'Impatto: Le aziende devono effettuare analisi d'impatto quando c'è un rischio elevato per i diritti delle persone interessate.
  • Diritto di Informazione: È obbligatorio informare in anticipo le persone interessate in caso di raccolta di qualsiasi tipo di dati personali.
  • Registro delle Attività: È necessario tenere un registro delle attività di trattamento dei dati.
  • Notifica di Violazioni: In caso di violazione dei dati, è obbligatorio informare l'autorità federale per la protezione dei dati il prima possibile. Non è indicata una deadline specifica per effettuare la notifica ma l’autorità di controllo (IFPDT) potrebbe integrare il requisito con delle proprie linee guida.
  • Profilazione: La legge introduce il concetto di trattamento automatizzato dei dati personali.
  • Sanzioni: si prevedono sanzioni fino a 250 000 franchi per i privati che intenzionalmente non ottemperano alle decisioni dell’IFPDT, o a una decisione delle autorità di ricorso, notificatagli sotto comminatoria della pena prevista nel presente articolo.

La nuova legge federale sulla protezione dei dati rappresenta un passo importante verso una maggiore tutela della privacy in Svizzera. Sebbene sia in gran parte allineata con il GDPR europeo, presenta alcune peculiarità che le aziende, sia svizzere che europee operative in svizzera, dovranno attentamente considerare.

Per ulteriori dettagli su come conformare le proprie operazioni in Svizzera alla nuova legge privacy è possibile contattare Giulio Coraggio e Tommaso Ricci.

Il lettore potrebbe trovare di interesse il seguente articolo: “Il CCPA sarà sostituiro dal California Privacy Rights Act (CPRA)”.

 

Commercial

Intelligenza Artificiale e moda: tra criticità e innovazione

Negli ultimi tempi l’Intelligenza Artificiale sembra essere l’ultimo trend della fashion industry: tutti i giganti della vendita al dettaglio hanno adottato un approccio algoritmico alla moda e tra app che forniscono feedback o consigli sui propri outfit e camerini interattivi con specchi che riconoscono gli abiti indossati e ne suggeriscono altri da abbinare in base a stile, colore e umore.

La creazione di articoli di moda basati sull’AI porta il rapporto tra innovazione e creatività a un livello superiore e introduce una serie di domande, talvolta ancora senza risposta. Chi è il titolare delle creazioni dell’AI? L’AI può violare i diritti di proprietà intellettuale di terzi? Che tipo di dati personali vengono raccolti dall’AI? Il trattamento che ne deriva è soggetto alle norme sulla protezione dei dati? L’AI aumenterà o ridurrà la creatività nel settore della moda?

La tutela autorale delle opere create con l’AI

Secondo la legge italiana, le opere creative devono essere originali per ottenere la protezione del diritto d’autore e tradizionalmente il requisito dell’originalità è stato collegato alla persona fisica dell’autore. Infatti, ai sensi dell’art. 6 della L. n. 633/1941 (Legge sul diritto d’autore), “la legittimazione originaria all’acquisto del diritto d’autore consiste nella creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale” dell’autore. Pertanto, le macchine e l’AI sembrano essere escluse dalla nozione di paternità.

Tale posizione è stata ribadita in una recentissima decisione dell’U.S. Copyright Office, che ha negato la registrazione di immagini generate dall’AI in quanto considerate non tutelabili ai sensi della normativa statunitense sul copyright. L’Ufficio ha infatti osservato che la registrazione di un’opera originale è possibile solo se questa sia stata creata da un essere umano dal momento che la legge sul copyright protegge solo “i frutti del lavoro intellettuale” che “si basano sui poteri creativi della mente” e tale disciplina è limitata alla tutela delle “concezioni intellettuali originali dell’autore”.

In conformità alla giurisprudenza (Feist Publ’ns, Inc. v. Rural Tel. Serv.; Burrow-Giles Lithographic Co. v. Sarony) e alla normativa (cfr. 17 U.S.C. § 102(a) e (b)) in materia di diritto d’autore, l’U.S. Copyright Office ha pertanto affermato che non è possibile concedere la tutela autorale a opere realizzate da una macchina o da un processo meccanico che funziona in modo casuale o automatico senza che vi sia un sufficiente apporto creativo o un sufficiente intervento da parte di un autore umano. Conclusioni analoghe sono state raggiunte anche a livello nazionale con una recente pronuncia della Corte di Cassazione sul riconoscimento della tutela del diritto d’autore su un’opera digitale raffigurante un fiore, realizzata tramite l’uso di un software, che è stata utilizzata in una passata edizione del Festival di Sanremo.

Nel 2016, la RAI ha infatti utilizzato come scenografia della celebre kermesse canora un’opera digitale raffigurante un fiore reperita sul web senza però chiedere l’autorizzazione dell’autrice, che la aveva realizzata qualche tempo prima attraverso l’impiego di un software. Per tale motivo, due anni più tardi, l’autrice ha dunque citato in giudizio la RAI davanti al Tribunale di Genova, lamentando la violazione dei propri diritti d’autore sull’opera.

Confermando la decisione dei giudici di primo grado e in appello, la Suprema Corte si è soffermata sul concetto giuridico di creatività, ritenendo che questo non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta. Secondo tale interpretazione, la creatività tutelata dalla normativa italiana è data dalla personale e individuale espressione di un contenuto oggettivo appartenente alle categorie elencate all’art. 1 della Legge sul diritto d’autore. Pertanto, un’opera dell’ingegno può essere protetta a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esterno. Nel caso di specie, l’immagine digitale utilizzata nella scenografia del Festival di Sanremo non rappresentava semplicemente una riproduzione di un fiore, ma era una vera e propria rielaborazione, meritevole di tutela ai sensi del diritto d’autore, poiché idea originale e creativa proveniente dalla sua autrice. La Corte di Cassazione ha dunque rigettato la difesa di RAI per cui il processo dell’autrice si sarebbe limitato alla scelta di un algoritmo e all’approvazione del risultato generato dal software, precisando che l’uso di un software non esclude l’elaborazione di un’opera dell’ingegno tutelabile dal diritto d’autore, ma impone soltanto di scrutinarne il tasso di creatività con maggior rigore.

Pertanto, le opere d’arte algoritmiche possono accedere alla tutela del diritto d’autore, purché siano coinvolte scelte umane. Nel caso di una collezione di moda interamente disegnata dall’AI, la persona che ha sviluppato il software potrebbe dunque godere della protezione del diritto d’autore sia per il software stesso sia per l’opera creata con il suo utilizzo e presumibilmente essere ritenuta responsabile in caso di violazione dei diritti di proprietà intellettuale di terzi.

  • L’AI nell’analisi dei “big data”

In un sistema data-driven di questo tipo, i brand della moda stanno investendo sempre più nell’AI al fine di offrire ai propri clienti prodotti e servizi innovativi. Infatti, le case di moda non puntano solamente all’utilizzo delle opere algoritmiche che abbiamo appena analizzato, ma stanno altresì reinventando i propri siti e canali e-commerce ingaggiando assistenti di vendita virtuali, e-concierge e chatbot in grado di interagire con i clienti per aiutarli a scegliere e provare - anche da casa - i loro outfit preferiti, nonché per consentirgli di godere di una nuova ed esclusiva esperienza di acquisto.

In questa nuova realtà, un ruolo fondamentale viene sicuramente ricoperto dai dati raccolti tramite i siti web, le applicazioni online e i social network che consentono ai brand di comprendere quali sono i capi di abbigliamento più in voga e predire le nuove tendenze. Il carburante della fashion industry può, infatti, rinvenirsi proprio nell’utilizzo dei cosiddetti big data e dei sistemi di AI predittivi. Quando l’AI è integrata sulle proprietà digitali, i brand sono infatti in grado di profilare i propri clienti e utenti al fine di capire i loro interessi e le loro preferenze, creare campagne di marketing mirate e proporre un servizio personalizzato sulla base delle loro esigenze.

Tuttavia, la profilazione degli utenti e dei clienti dei brand attraverso l’analisi dei big data e l’utilizzo di algoritmi è considerato trattamento di dati personali a tutti gli effetti e, proprio per tale ragione, le maison che decidono di operare online offrendo servizi innovativi ai propri clienti devono confrontarsi con i requisiti previsti dalla normativa in materia di protezione dei dati applicabile e, in particolare, con gli obblighi e le responsabilità sanciti dal GDPR.

Ad esempio, le case di moda devono raccogliere e trattare – per il tempo strettamente necessario – solo i dati personali effettivamente utili a raggiungere gli scopi per cui sono stati raccolti, nel rispetto del principio di minimizzazione di cui all’art. 5 del GDPR. Non solo, per poter lecitamente raccogliere e trattare i dati personali i brand sono tenuti ad individuare la corretta base giuridica che – in caso di profilazione ottimizzata con l’uso di sistemi di AI – si deve rinvenire nel consenso dell’interessato. Il GDPR prevede, inoltre, specifici obblighi informativi e di trasparenza: l’art. 13 del GDPR richiede infatti che il titolare del trattamento fornisca alcune informazioni sul trattamento effettuato, sulle sue finalità e modalità, nonché sull’esistenza di una decisione automatizzata, compresa la profilazione, sulle logiche sottese alla sua adozione e delle conseguenze che possono derivarne per gli interessati. Da ultimo, fondamentale è anche l’esecuzione di una Data Protection Impact Assessment (DPIA) ai sensi dell’art. 35 del GDPR, in quanto questa tipologia di trattamento potrebbe risultare invasiva, comportando un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati.

Le attività di monitoraggio e profilazione degli utenti online tramite algoritmi e altri strumenti di analisi dei big data possono inoltre essere ottimizzate grazie all’uso di meccanismi di combinazione dei dati raccolti direttamente dagli utenti o desunti dal comportamento di quest’ultimi (ad esempio, attività c.d. di custom audience matching e look-alike), anche tramite cookie e altre tecnologie di tracciamento. Tali meccanismi non sono utilizzati solamente per monitorare l’utente sul web, ma anche per influenzarne il comportamento e le scelte, in particolare in relazione alle loro decisioni di acquisto in veste di consumatori, minando talvolta l’autonomia e la libertà individuali.

Proprio per tale ragione, i brand sono tenuti ad adottare specifiche cautele quando intendono utilizzare meccanismi di tracciamento degli utenti. Sul punto è intervento anche il Garante per la protezione dei dati personali che, con le sue Linee guida sui cookie e gli altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021, ha ribadito le circostanze in cui l’installazione e utilizzo dei cookie (o di altri strumenti di tracciamento) può avvenire sul terminale degli utenti e le regole per l’analisi dei dati raccolti tramite tali tecnologie. In particolare, per poter lecitamente installare cookie o altre tecnologie di tracciamento, i brand che operano online devono, tra le altre cose, (i) informare gli utenti con una informativa breve (c.d. “cookie banner”) che rimandi ad una informativa estesa (c.d. “Cookie Policy”) che delinei le finalità e modalità di trattamento dei dati raccolti tramite tali tecnologie, e (ii) raccogliere uno specifico consenso, ossia una chiara azione positiva da parte dell’utente che consapevolmente acconsente all’installazione dei cookie.

  • Quando l’AI diventa reale nascono i CGI

Grazie all’utilizzo dell’AI, i brand possono non soltanto profilare gli utenti e analizzare grandi quantità di dati, ma hanno la possibilità di offrire agli utenti esperienze di acquisto rinnovate ed innovative. Infatti, l’AI consente di generare – e far prendere vita – le diverse personalità del mondo reale anche nel mondo virtuale. Queste personalità sono dei veri e propri robot digitali che simulano in forma iperrealistica sembianze, qualità, espressioni, comportamenti e peculiarità umani, anche oltre i comuni stereotipi. Ne sono un esempio geniale gli influencer virtuali, ossia CGI (computer-generated imagery) che, nella loro forma virtuale, sono promotori dei più rinomati brand, sponsorizzandone i prodotti e i servizi, ma anche facendosi ambasciatori di principi e diritti.

Gli influencer virtuali sono l’ultima tendenza sui social media. Infatti, i social network, ad oggi, ospitano più di 200 influencer virtuali; tra questi i più seguiti sono Nefele, la prima influencer virtuale italiana portavoce dei valori di inclusione e diversità, le gemelle Eli e Sofi, Shudu, Lil Miquela, Noonoouri, Rozy e lo streamer virtuale CodeMiko celebre su Twitch. Sono già molti i brand di moda che si stanno rivolgendo a questi CGI per la pubblicizzazione dei propri prodotti. Ne sono un esempio Rihanna, che per promuovere il suo marchio di cosmesi Fenty Beauty ha scelto Shudu, e Prada, Chanel e Fendi che collaborano ormai da anni con la celebre Lil Miquela.

Questo a dimostrazione che anche i robot possono essere portatori di nuove mode. Talvolta, collaborare con influencer virtuali piuttosto che con persone reali, porta con sé addirittura vantaggi per le maison di moda. Infatti, se nel mondo reale c’è sempre un’alea di incertezza sull’agire umano data dal libero arbitrio delle persone, nel mondo virtuale, i brand possono esercitare un controllo totale sull’influencer tale da poter decidere come l’influencer deve presentarsi ai propri follower sia da un punto di vista estetico che comunicativo, anche al fine di scongiurare il più possibile danni reputazionali derivanti da comportamenti o iniziative esterne alla sponsorizzazione del brand stesso.

Anche se virtuali, gli influencer devono comunque rispettare le regole imposte dalle normative del mondo reale. Per tale ragione, gli obblighi di trasparenza in ambito pubblicitario si applicano anche a queste nuove forme di vita virtuali. Sempre in un’ottica di trasparenza, a questo si aggiunge la necessità che l’identità stessa di questi personaggi, non reali, sia resa esplicita sulle piattaforme tramite le quali veicolano messaggi pubblicitari, in modo che l’utente sia cosciente di interagire con un avatar e non con un umano.

Ciò alla luce dell’idea secondo cui si dovrebbe puntare allo sviluppo di tecnologie affidabili sotto il profilo sia etico che morale, tali da costituire uno strumento utile alla società e commisurato alle esigenze umane. Ancora, è interessante notare come avatar e sistemi di AI possano essere legati a forme di “abuso” dell’immagine, come nel caso dei deepfake che potrebbe rivelare aspetti decisamente più gravi in termini di violazione dei diritti della personalità, quali possibili danni all’immagine, alla reputazione e all’identità digitale della persona, diffusione non consensuale di immagini private, potenziali rischi di attacchi di tipo phishing, vishing, furto d’identità e violazione di misure di sicurezza basate sul riconoscimento biometrico. In tale contesto, risulta dunque essenziale che i sistemi utilizzati siano cyber resilient, nonché emerge l’importanza di adottare schemi di risposta agli incidenti in grado di rimediare agli impatti negativi sul business e proteggere la reputazione dell’influencer virtuale così come quella del brand, anche predisponendo un remediation plan “post-attacco” che possa attenuare i possibili risvolti in termini di richieste di risarcimento o altre forme di responsabilità.

È pertanto evidente che lo sviluppo di queste nuove tecnologie richieda un intervento regolatorio tale da evitarne gli abusi. Un esempio, in tal senso, è dato da Meta che ha iniziato a lavorare con i suoi sviluppatori ed esperti ad un Ethical Framework per stabilire confini più chiari sull’utilizzo degli avatar e, in particolare dei cosiddetti virtual influencer, sia in termini di potenziali danni che di vantaggi. Ad oggi, l’obiettivo primario per Meta risulta essere la trasparenza e l’importanza di fornire sempre la possibilità di scindere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.

Su un simile argomento può essere di interesse: “La moda creata dall'intelligenza artificiale: chi è l'autore?”.

 

Intellectual Property

La Corte di Cassazione sul marchio di forma in una controversia relativa al segno apposto sulle sneakers di una nota Casa di Moda

Con un recente decisione, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul complesso tema dei marchi di forma, dovendo stabilire se il marchio a forma di "stella mozzata" apposto sulle sneakers di una rinomata Casa di Moda, noto per la peculiarità di essere una stella a cinque punte, tagliata in modo da eliminare la punta superiore e parte di quella inferiore destra, possedesse i requisiti necessari per definirsi tale.

La vicenda in esame ebbe inizio quando la menzionata Casa di Moda proponeva avanti al Tribunale di Milano un'azione di contraffazione avverso una società concorrente che poneva sulle proprie calzature un segno alquanto simile al marchio registrato dalla prima. Nella decisione di primo grado, il Tribunale di Milano accertava la contraffazione del marchio registrato dell'attrice, evidenziando in particolare l’identità dei segni apposti dalla società contraffattrice sulle proprie calzature con quelli rivendicati dalla Casa di Moda, nonché l’elevata somiglianza tra le caratteristiche dei prodotti in questione, con conseguente illecito effetto confusorio. Tale decisione veniva, poi, integralmente confermata dalla Corte d’Appello adita da parte soccombente.

Successivamente alla decisione della Corte di Appello, seguiva il ricorso in Cassazione della società condannata, in entrambi i giudizi di merito, per l’illecito contraffattorio.

Con la propria memoria, la ricorrente lamentava la violazione del principio secondo cui un marchio di forma è nullo quando "dà valore sostanziale al prodotto". Come noto, infatti, l'articolo 9 del Codice della proprietà industriale esclude la "registrazione come marchio d’impresa dei segni costituiti esclusivamente: a) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto; b) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; c) dalla forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto". Ovviamente, questo principio trova corrispondenza anche nella normativa europea e, in particolare, nell'art. 7, lett. e), del Regolamento EU 2017/1001.

Nel ricorso, la società contestava le conclusioni della Corte d’Appello che, sebbene avesse riconosciuto il valore estetico ed ornamentale della nota "stella mozzata" e quindi la sua capacità di aggiungere valore sostanziale ai prodotti su cui era apposta, aveva ritenuto non dimostrata la prevalenza del carattere ornamentale su quello distintivo.

Sul punto, la Corte di Cassazione richiamava anzitutto le argomentazioni della Corte d'Appello che aveva escluso "che si fosse in presenza di un marchio di forma (…) perché la stella mozzata non costituisce una qualità strutturale del prodotto da esso non scindibile ma è semplicemente un segno apposto sul prodotto, acquistato per il complesso delle qualità apprezzate dal pubblico". Continuava affermando che "La Corte territoriale ha aggiunto che si era in presenza non già di un segno esclusivamente di forma che possa dare un valore sostanziale al prodotto, ma di un segno figurativo, che può essere apposto ed è apposto su altri prodotti merceologici della [nota Casa di Moda], e che individua una serie di caratteristiche qualitative del prodotto che lo rendono appetibile sul mercato; la figura, pertanto, apposta ha una capacità prevalentemente identificativa del prodotto pur conservando la sua originalità nella configurazione".

Quindi, come ribadito dalla Corte di Cassazione, la pronuncia di secondo grado, nel recepire la decisione del Tribunale di Milano e dopo aver precisato che un marchio, per poter essere considerato nullo, dovesse avere ad oggetto un segno costituito esclusivamente dalla forma di un prodotto, accertava correttamente che il segno in questione svolgesse una funzione prevalentemente distintiva. Inoltre, il giudice di legittimità rilevava altresì come la ricorrente non avesse dimostrato che il marchio della "stella mozzata" fosse una forma o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto (scarpa) o necessaria per ottenere un risultato tecnico o che conferisse un valore sostanziale al prodotto (come previsto ai sensi dell'art. 9 c.p.i.), per poi riconoscere la non pertinenza delle argomentazioni della ricorrente circa la presenza di una componente estetico-ornamentale e circa il suo rapporto di prevalenza o meno rispetto alla componente distintiva del segno.

In aggiunta a quanto sopra, la società ricorrente contestava altresì che "La Corte avrebbe configurato la stella deformata come marchio forte, incorrendo in un errore di diritto nella distinzione tra marchio debole e forte, poiché si arriverebbe al paradosso che «una qualsiasi stella- che costituisce l’archetipo dei segni di uso comune privi di capacità distintiva» dovrebbe considerarsi 'marchio forte'" e che "la qualificazione del marchio come forte consentirebbe di configurare contraffazione soltanto in caso di «appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore» e che, a proprio avviso, nel caso di specie suddetta contraffazione non era configurabile".

Anche su questo punto, la Corte di Cassazione, richiamando integralmente quanto affermato della Corte d'Appello, evidenziava che "le pronunce dei giudici di legittimità avevano più volte chiarito che in caso di marchio forte (dall’origine o per vicende successive), la confondibilità si determina anche in presenza di consistenti varianti nel marchio successivamente registrato, ove vi sia appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore, con riproduzione od imitazione di esso nella parte atta ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti; detto nucleo centrale, peraltro, non è identificabile nel mero riferimento a situazioni e contesti ricollegabili ad un determinato settore merceologico, ma riguarda quel quid pluris che connoti, all’interno di quel settore, una specifica offerta (Cass., n. 9769/2018). La Corte territoriale ha proceduto ad accertare che la somiglianza riguardasse il nucleo ideologico caratterizzante il messaggio, ha valutato la sussistenza o meno dell’affinità tra i prodotti e ha verificato la sussistenza o meno del rischio di associazione. Proprio in tale direzione ha precisato che anche per quelle calzature «in cui la punta superiore della stella non è tagliata ma supera la cucitura del portastringhe, le variazioni rispetto al marchio registrato non siano sufficienti ad escludere la confondibilità».E ciò ha fatto rimarcando che il concetto di confondibilità non coincide con quello di esatta riproduzione del marchio, ma con una valutazione di somiglianza tale che induca il consumatore a confondere i prodotti, essendo sufficiente a tal fine, che il pubblico interessato in concreto possa cogliere l’esistenza di un nesso, ossia di un grado di similarità, tra il marchio notorio e quello successivo (Cass., n. 27217/2021). In tema di marchi d’impresa, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Cass., n. 1906/2010). Infine, va ricordato che un marchio, è forte solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento (Cass., n. 12368/2018)".

Come si è visto, la Corte d'Appello ha dato ampia motivazione sulla circostanza che il marchio della nota Casa di Moda avesse una forte capacità distintiva del tutto disgiunta da una specifica relazione con le caratteristiche dei prodotti su cui è apposto (calzature), osservando, inoltre, che anche nei modelli di scarpe della società ricorrente che si discostavano dai corrispondenti modelli della Casa di Moda e in cui la punta superiore della stella non era tagliata, la confondibilità dei due segni sussisteva comunque per un particolare effetto visivo.

Per tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione, confermando integralmente le motivazioni esposte dalla Corte di Appello, rigettava il ricorso presentato dalla società ricorrente.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo "Riconosciuta la validità della forma iconica di un furgoncino come marchio tridimensionale".

Retroversione degli utili: nuove precisazioni della Corte di Cassazione

La recente ordinanza n. 20800/2023 della Corte di Cassazione offre un nuovo contributo interpretativo relativo all'applicazione delle norme in tema di retroversione degli utili cui all'articolo 125 del Codice della Proprietà Industriale (CPI).

Il 18 luglio 2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che coinvolge un ex licenziatario accusato di aver violato diritti di privativa su marchi registrati e un distributore terzo, che si è trovato involontariamente al centro di una controversia giuridica avviata dal titolare dei diritti in questione.

L’aspetto centrale della decisione riguarda la risposta a un ricorso incidentale presentato dal distributore, che contestava un'interpretazione dell'art. 125, comma 3, del CPI da parte della Corte d'Appello. Secondo l'obiezione del distributore, la Corte d'Appello avrebbe errato nell’applicare tale normativa con un'accezione risarcitoria piuttosto che restitutoria, imponendo la retroversione degli utili a un soggetto che non era direttamente responsabile della contraffazione de quo.

La Corte di Cassazione ha invece preso una posizione opposta, ponendosi in continuità con una precedente sentenza della Cassazione. Infatti, esattamente due anni fa, con ordinanza del 29 luglio 2021 – n. 21833/2021, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che : “In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (c.d. “retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, con apposita domanda ai sensi dell’art. 125, c.p.i., senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo.”

Anche secondo la Corte di quest’ultima decisione, il rimedio della retroversione degli utili non necessita della dimostrazione dell'elemento soggettivo di colpa o dolo da parte dell'autore della violazione. Si tratta, dunque, di uno strumento "sui generis", parzialmente compensatorio e parzialmente deterrente, che si distingue nettamente dalla tradizionale tutela risarcitoria. Questo implica che il titolare del diritto non è tenuto a fornire prove di un danno subito a causa dell'attività illecita altrui.

Sul versante pratico, la Corte ha ulteriormente delineato il metodo per calcolare gli importi da restituire. Tale calcolo dovrebbe essere basato su una "derivazione causale", in conformità all'art. 1223 del Codice Civile, e dovrebbe escludere i costi sostenuti dal responsabile della violazione. È onere del contraffattore fornire elementi concreti per il calcolo, desumibili dai bilanci, che si riferiscano esclusivamente ai costi "incrementali", ossia quelli direttamente legati ai prodotti contraffatti.

Pertanto, secondo la Corte, la ratio legislativa dietro tale disposizione è chiara: impedire che il contraffattore possa beneficiare economicamente dal proprio atto illecito e disincentivare la pianificazione di attività contraffattive. In tale ottica, la retroversione degli utili agisce come uno strumento efficace per tutelare i titolari di diritti di proprietà intellettuale.

Infine, possiamo sostenere che l'ordinanza n. 20800/2023 rappresenta un ulteriore passo avanti nel consolidamento dell'orientamento giurisprudenziale relativo ai rimedi disponibili in caso di violazione di diritti di privativa. In particolare, fornisce un quadro chiaro e complesso della retroversione degli utili, delineando i contorni di un rimedio che assume sempre più importanza nell'attuale panorama legale del diritto della proprietà intellettuale.

Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Appello Milano sul contributory infringement e retroversione degli utili”.

 

Technology, Media and Telecom

Nuova Strategia Nazionale per la Banda Ultra Larga per il triennio 2023-2026

Il 7 agosto scorso è stata illustrata e condivisa in Consiglio dei ministri, la nuova Strategia Nazionale per la Banda Ultra Larga (“Strategia”), frutto della consultazione con gli operatori di settore e del lavoro del Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale. Tale Strategia mette in campo, per il triennio 2023-2026, un piano di azione volto al consolidamento infrastrutturale di reti fisse e mobili, allo sviluppo e all’adozione di infrastrutture di nuova generazione e ad interventi che mirano a favorire l’adozione della connettività fissa e mobile di nuova generazione da parte dell’utenza.

Come riportato nel comunicato stampa trasmesso dal Dipartimento per la trasformazione digitale, la Strategia prevede investimenti per circa 2,8 miliardi di euro di cui una parte derivante dalle economie maturate nell’ambito degli interventi PNRR per la Banda Ultra-Larga, previa approvazione da parte della Commissione Europea, con la quale sono già in corso le relative interlocuzioni.

La Strategia si articola in un insieme organico di interventi da realizzare nell’arco di tre anni dalla data di approvazione della stessa, individuati attraverso l’analisi dei gap nell’ambito degli interventi attualmente in essere per la creazione e diffusione delle reti ad altissima capacità in Italia.

La prima area raccoglie una serie di interventi trasversali che prevedono, tra gli altri, la creazione di una rete di backhauling in fibra ottica di proprietà pubblica, l’incremento della ridondanza dei collegamenti tra le reti di accesso e di distribuzione delle telco, il rilascio del catasto delle infrastrutture e una piattaforma per la mappatura delle unità abitative.

La seconda area concerne lo sviluppo della connettività fissa con riguardo ai piccoli comuni e alle isole minori. Tra gli interventi figurano l’estensione della gratuità dei servizi del piano “Scuola connessa” fino al 2035, l’adeguamento della connettività del progetto “Polis” per l’accesso ai servizi digitali, un nuovo piano per i piccoli comuni connessi e l’estensione di quello relativo alle isole minori, a cui si aggiunge l’adeguamento della connettività del sistema sanitario nazionale a 10 Gigabit/s.

Verte invece sullo sviluppo della connettività mobile la terza area di intervento rappresentata nella Strategia. In particolare, sono previsti 5 interventi articolati in tre cluster: (i) Normativa, regolamentazione e incremento capacità operativa della PA e delle telco, che prevede la valutazione dell’innalzamento e delle modalità di misurazione dei limiti elettromagnetici; (ii) Piattaforme e basi dati informative, che prevede il potenziamento e il rilascio in operatività del Catasto Elettromagnetico e (iii) Domanda qualificata della PA – sviluppo di reti 5G di nuova generazione e servizi innovativi, nell’ambito del quale si prevede la realizzazione di reti 5G di proprietà pubblica e reti 5G lungo le linee ferroviarie e nelle gallerie, insieme a soluzioni di Edge Cloud Computing.

Infine, la quarta area, relativa agli “interventi a sostegno della domanda”, comprende la revisione della misura “Voucher Famiglie”, con l’obiettivo di stimolare l’adozione della Banda Ultra Larga e la realizzazione di campagne di comunicazione istituzionale sul ruolo e sui vantaggi di una connettività ultraveloce.

 Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “AGCom avvia la consultazione pubblica per la definizione del servizio di accesso adeguato a Internet a banda larga”.


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna Angilletta, Carolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila Crisci, Cristina Criscuoli, Tamara D’Angeli, Chiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila Elezi, Chiara Fiore, Laura Gastaldi, Vincenzo Giuffré, Filippo Grondona, Nicola Landolfi, Giacomo Lusardi, Valentina Mazza, Lara Mastrangelo, Maria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Tommaso Ricci, Rebecca Rossi, Massimiliano Tiberio, Alessandra Tozzi, Giulia Zappaterra

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea, Flaminia Perna e Matilde Losa.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena Varese, Alessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

Scoprite Prisca AI Compliance, il tool di legal tech sviluppato da DLA Piper per valutare la maturità dei sistemi di intelligenza artificiale rispetto alle principali normative e standard tecnici qui.

È possibile sapere di più su “Transfer”, il tool di legal tech realizzato da DLA Piper per supportare le aziende nella valutazione dei trasferimenti dei dati fuori dello SEE (TIA) qui e consultare una pubblicazione di DLA Piper che illustra la normativa sul Gambling qui, nonché un report che analizza le principali questioni legali derivanti dal metaverso qui, e una guida comparativa delle norme in materia di loot boxes qui.

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