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28 giugno 20248 minuti di lettura

Le novità della settimana in materia di lavoro

Venerdì 28 giugno 2024
Giurisprudenza

Corte Suprema di Cassazione, 14 giugno 2024 n. 16630 - Sulla revoca del licenziamento

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito al potere di revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro. Ai sensi del comma 10 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, non sono previste particolari limitazioni all’esercizio di tale potere, se non quella che la revoca debba intervenire nei 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento stesso.

Nel caso di specie, una lavoratrice veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo, dopo aver ricevuto - nel 16° giorno successivo all’impugnazione del licenziamento - un telegramma di revoca dello stesso (inviato dalla società il 15° giorno successivo alla ricezione dell’impugnazione del recesso). La lavoratrice - a seguito della revoca del licenziamento e del ripristino del rapporto di lavoro ex tunc - sosteneva l’inefficacia della revoca stessa, a norma dell’art. 18, comma 10 dello Statuto, rifiutandosi di riprendere servizio, esponendosi di conseguenza a un secondo subordinato licenziamento per giusta causa, essendosi assentata dal lavoro per oltre tre giorni.

In particolare, la lavoratrice contestava la tardività della revoca e ricorreva per la cassazione della sentenza di appello che aveva - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente - ritenuto tempestiva la revoca del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in quanto effettuata nel termine di 15 giorni e non essendosi verificata alcuna decadenza. Nel confermare la sentenza di primo grado, i giudici di appello sostenevano che bisognava tenere in considerazione la data di invio del telegramma e non la data della sua ricezione, dovendosi applicare il principio di scissione degli effetti dell’atto. Di conseguenza, per il datore di lavoro era rilevante il momento in cui la revoca veniva effettuata, mentre per il lavoratore il momento della sua ricezione.

La lavoratrice proponeva dunque ricorso per cassazione, sostenendo che la revoca del licenziamento non fosse tempestiva e che, in relazione alla stessa, andasse applicata la regola relativa agli atti recettizi a forma libera, “e non anche la disciplina che consente […] la scissione del termine di invio da quello della ricezione”. Per tali ragioni, a detta della lavoratrice, l’atto di parte datoriale doveva considerarsi non tempestivo, per essersi verificata la decadenza della possibilità di revocare il provvedimento di recesso già disposto, con tutte le conseguenze legali in termini di ripristino del rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla lavoratrice, ritenendo infondato l’unico motivo di ricorso dalla stessa proposto. La Corte ha innanzitutto precisato che - prima dell’entrata in vigore dell’attuale versione del comma 10 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori - si riteneva che la revoca del licenziamento costituisse una proposta, indirizzata al lavoratore, che necessitava dell’accettazione da parte di quest’ultimo per essere efficace (cfr. Cass. n. Cass. n. 23435/2016; Cass. n. 13090/2011; Cass. n. 36/2011). Solo a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 92/2012 (che ha introdotto l’attuale versione del comma 10 dell’art. 18 dello Statuto), la natura giuridica della revoca ha assunto una nuova veste, identificata - secondo la dottrina, cui rimanda la Cassazione - come un “diritto potestativo del datore di lavoro cui soggiace il lavoratore”. Trattasi, quindi, di una sorta di “"autotutela" esercitabile dal datore di lavoro che determina il ripristino ex tunc del rapporto, senza che sia necessario il concorso di una analoga manifestazione di volontà da parte del lavoratore in tal senso e senza che sia fonte di risarcimento del danno”.

Posto, quindi, che non è necessaria la manifestazione di volontà da parte del lavoratore affinché il rapporto di lavoro possa ripristinarsi, era necessario stabilire se il termine massimo di 15 giorni previsto dalla legge fosse da intendersi come mero termine di invio della revoca oppure come termine di ricezione della stessa da parte del lavoratore. A tale proposito, la Suprema Corte ha precisato che “Il dato testuale, che àncora il dies a quo alla comunicazione dell'impugnativa di licenziamento e il dies ad quem all'effettuazione della revoca, senza alcun riferimento alla comunicazione all'interessato, induce a ritenere sufficiente il mero invio della revoca al lavoratore nel termine prescritto e non anche la ricezione da parte dello stesso nel medesimo termine”.

In conclusione, la Corte ha stabilito che, nel caso di specie, la revoca del licenziamento dovesse considerarsi tempestiva.

Corte Suprema di Cassazione, 13 giugno 2024 n. 16548 - Condotta del lavoratore e sussunzione nelle clausole del CCNL

La vicenda in esame ha per oggetto un licenziamento intimato a una dipendente cui si addebitava l’utilizzo indebito dell’auto aziendale. Secondo quanto riportato dalla società, infatti, la dipendente si sarebbe allontanata con l’auto dalla zona di propria competenza e l’avrebbe utilizzata per fini personali.

Nel corso del giudizio di merito, veniva accertata la sussistenza della condotta addebitata. Tuttavia, sia il Tribunale (prima), che la Corte di Appello (dopo), appuravano che tale condotta non integrasse - diversamente da quanto sostenuto dalla società - una giusta causa di licenziamento, in quanto la condotta tenuta dalla lavoratrice non integrava quelle “violazioni dolose di leggi o di regolamenti e dei doveri d’ufficio che possono arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o ai terzi”.

La questione di diritto che è stata posta all’attenzione della Corte di Cassazione è di individuare quale tutela sia applicabile alla lavoratrice in questi casi, non sussistendo la giusta causa di licenziamento. Se, da un lato, infatti, il Tribunale si è pronunciato a favore della reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro, secondo quanto disposto dall’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, la Corte di appello, dal canto suo, si è espressa nel senso dell’art. 18, comma 5, ovvero riconoscendo a favore della ricorrente il pagamento di un’indennità pari a 24 mensilità.

La questione di quale tutela sia applicabile in questo caso arriva davanti alla Corte di Cassazione, attraverso il ricorso presentato dalla lavoratrice e il ricorso incidentale avanzato dalla società. La Suprema Corte, per poter individuare concretamente quale sia la tutela da applicare, ha analizzato la condotta tenuta in concreto dalla lavoratrice e che ha portato al licenziamento, verificandone la portata in relazione alle disposizioni del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro e al relativo articolato che disciplina l’applicazione delle sanzioni disciplinari, conservative nei casi di “minore impatto” o espulsive, nei casi più gravi.

La Corte di Cassazione precisa che, in tema di licenziamento disciplinare “ai fini di selezionare quale sia la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della l. n. 300 del 1970, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore e, in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisce l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato”.

Effettuate queste premesse, poi, la Corte di Cassazione chiarisce anche quale sia l’errore interpretativo ed ermeneutico in cui è incorsa la Corte di Appello, nel negare la tutela reintegratoria alla lavoratrice. La corte di appello, infatti, aveva richiamato un orientamento proprio della Corte di Cassazione, secondo cui “il licenziamento illegittimo è meritevole della tutela reintegratoria solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa”. Tale principio, secondo la pronuncia in oggetto, è da considerarsi superato a seguito di alcune pronunce recenti, tra le quali, la Corte richiama la n. 11665 del 2022.

L’operazione interpretativa effettuata sulla base delle condotte previste dal CCNL come punibili come sanzione interpretativa, pertanto, è da considerarsi legittima non solamente se il fatto contestato sia espressamente contemplato dall’Accordo collettivo, ma anche qualora tale operazione venga effettuata esclusivamente sulla base di un rinvio ad una clausola generale ed elastica contenuta nello stesso contratto collettivo.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso presentato dalla lavoratrice e rinvia alla corte territoriale, in diversa composizione, la selezione delle tutele applicabili stante l’esclusione degli estremi della giusta causa di licenziamento “ed essendo stata altresì accertata la sussistenza dei fatti contestati, dovrà verificare se le condotte addebitate alla stessa, come già accertate in giudizio, possano essere sussunte in una delle ipotesi di mancanze punite con sanzione conservativa” secondo quanto previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

 

Prassi

INL - Nota 24/06/2024 n. 1133 - Regime intertemporale delle sanzioni per esercizio non autorizzato della somministrazione, dell’appalto e del distacco illecito

La Direzione Centrale coordinamento giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito ai propri ispettori delle indicazioni di carattere operativo riguardo al regime intertemporale delle sanzioni in materia di esercizio non autorizzato della somministrazione, appalto e distacco illeciti, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 29, comma 4, del D.L. n. 19/2024, all’art. 18 del D.lgs. n. 276/2003.

Le nuove sanzioni penali si applicano con riferimento alle condotte poste in essere a partire dall’entrata in vigore del D.L. n. 19/2024 e, cioè, dal 2 marzo 2024. Per le condotte iniziate e concluse prima di tale data, invece, continua ad applicarsi il previgente regime sanzionatorio di natura amministrativa, depenalizzato ai sensi dell’art. 1, D.lgs. n. 8/2016, che rimanda alle indicazioni già fornite dal Ministero del Lavoro con circolare n. 6/2016. Infine, quanto alle condotte iniziate prima del 2 marzo 2024 e proseguite dopo tale data, le stesse avranno rilevanza esclusivamente di tipo penale, essendo quindi assoggettate alle nuove pene previste dal novellato art. 18, D.lgs. n. 276/2003.


Per informazioni sulla presente newsletter si possono contattare i coordinatori Avv. Francesca Anna Maria De Novellis, Dott. Lorenzo Spranzi e Dott.ssa Giusy Stella.

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