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15 luglio 20247 minuti di lettura

Le novità della settimana in materia di lavoro

Lunedì 15 luglio 2024
Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 27 giugno 2024, n. 17715 - Whistleblowing e licenziamento

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un'interessante vicenda sorta dall'utilizzo, oltre i limiti di legge, del sistema di c.d. whistleblowing, da parte di un lavoratore dipendente al fine di segnalare illeciti altrui sul luogo di lavoro.

La Corte d'appello, confermando la decisione di primo grado, rigettava il ricorso proposto da una dipendente volto ad accertare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrigatole dal datore di lavoro.

La vicenda disciplinare aveva avuto inizio con l'inoltro, da parte della dipendente ricorrente, a vari destinatari, del modello per la segnalazione di condotte illecite (c.d. whistleblower), con il quale la ricorrente aveva denunciato "la sottrazione da parte dell'allora Direttore di Roma 1, Pi.An., di fondi pubblici del MIUR in relazione al progetto premiale, per periodo il 2012-2018, "Studio di preparazione dei forti terremoti" destinati per la parte geochimica alla stessa – dipendente – nonché il plagio, il danno intellettuale, finanziario, di carriera, di immagine e a danno di terzi".

A seguito delle relative valutazioni, l'Ente aveva concluso che la segnalazione della dipendente "non poteva essere considerata come rientrante nelle tutele di cui all'art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 in quanto non era stata trasmessa con le modalità previste dal piano triennale di prevenzione della corruzione 2018/2020 e che, in ogni caso, dalla relazione del responsabile anticorruzione non era emersa alcuna anomalia nella gestione delle vicende segnalate".

L'Ente aveva, dunque, contestato alla dipendente di aver utilizzato impropriamente il canale di whistleblowing, "riportando circostanze risultate non vere che avevano diffamato e nociuto all'onore e alla reputazione dell'allora direttore di Roma 1".

Oggetto di contestazione era stata anche altra vicenda e cioè il gravissimo nocumento procurato a un professore universitario facente parte dell'Ente datore di lavoro e avvicinato "nei locali dell'ente dalla ricorrente, la quale aveva registrato la conversazione avuta col medesimo e poi pubblicato i riferimenti della conversazione sul proprio profilo Facebook in modo travisato e stravolto".

La Corte territoriale ha dunque ritenuto preliminare e assorbente, al fine della dichiarazione di legittimità del licenziamento della lavoratrice, "la gravità del comportamento di quest'ultima relativo alla registrazione della conversazione avvenuta tra la medesima e il professore, successivamente pubblicata su Facebook" e, in conclusione delle proprie valutazioni, la medesima Corte ha affermato "la sussistenza dei presupposti del licenziamento per giusta causa, alla luce dell'accertata irrimediabile lesione del rapporto fiduciario specie considerando che la – ricorrente – era dirigente e quindi si trovava in una situazione di particolare responsabilità nei confronti del personale preposto, dei suoi collaboratori e in generale per il grado di affidamento e fiducia riposto da parte datoriale nei suoi confronti".

Infine, la Corte d'appello ha ritenuto fondati anche gli altri addebiti disciplinari con i quali veniva contestato alla dipendente di aver utilizzato impropriamente il whistleblowing, rilevando altresì che "la predetta aveva fatto un uso improprio dell'In. per il quale non aveva neppure seguito la procedura prevista presso In. per l'applicabilità dell'art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (l'invio della segnalazione era stato fatto senza garantire la segretezza della stessa e dello stesso nominativo della segnalante)" e ritenendo che "l'intento della segnalazione della – dipendente – non sembrava quello di agire a tutela della p.a. e per il suo interesse (che altrimenti ella avrebbe seguito la procedura prevista, che garantisce l'anonimato e consente alla p.a. di effettuare i dovuti accertamenti), bensì, in ultima analisi, quello di portare nei luoghi di lavoro discredito al collega".

La Corte di Cassazione, a conferma dei precedenti gradi di giudizio, ha affermato che "il giudice di secondo grado, rifacendosi a recenti orientamenti di questa Corte, ha ritenuto legittimo il licenziamento per il suddetto comportamento tenuto dalla – dipendente – escludendo ogni collegamento causale tra lo stesso e la segnalazione ai sensi dell'art. 54-bis. Il ragionamento è corretto dovendosi richiamare, sul punto, Cass. n. 9148/2023 che ha espresso il seguente principio: "La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo".

Tribunale di Ancona, 5 giugno 2024, n. 245 - Licenziamento e assistenza del familiare disabile

Il dipendente che viene licenziato per abuso di permessi 104 (non avendo prestato effettiva assistenza al familiare disabile durante l'orario di lavoro) deve essere reintegrato.

Nel caso di specie, una società licenziava per giusta causa un dipendente, beneficiario di permessi 104: il datore di lavoro, a seguito di disposta investigazione privata, aveva infatti scoperto che il lavoratore per 8 giornate a cavallo tra luglio e agosto 2023 aveva trascorso le ore di permesso 104 all'interno della propria abitazione o altrove, ma non nell'abitazione del familiare disabile.

Il dipendente proponeva quindi ricorso avverso la decisione aziendale eccependo l'illegittimità del licenziamento e sostenendo che lo stesso si era comunque recato presso gli indirizzi indicati nella relazione investigativa nell'interesse del familiare assistito e che si era comunque recato presso il domicilio del familiare, seppure in orario diverso da quello "lavorativo" (ad esempio, la mattina presto o la sera), in orario quindi non "supervisionato" dall'investigatore incaricato dalla società.

In ogni caso, nel ricorso veniva rilevato come, in base a un certo orientamento della giurisprudenza anche di legittimità "ai permessi [104] deve riconoscersi anche il fine di assicurare un "generale equilibrio di vita del dipendente" impegnato nella assistenza di un familiare bisognoso".

La società contestava la tesi del lavoratore, richiamando un differente orientamento giurisprudenziale secondo cui i permessi sono riconosciuti in base all'assistenza al disabile e in relazione causale diretta con l'assistenza, dovendosi invece escludere che a questi possa essere attribuita una funzione compensativa delle energie impiegate dal dipendente nell'assistenza.

Il giudice, pur nel contrasto tra i differenti orientamenti giurisprudenziali, ha ritenuto opportuno accogliere la tesi del lavoratore ed ha pertanto accolto il ricorso, condannando la società alla reintegra del dipendente.

Il tribunale ha quindi affermato il seguente principio di diritto: "deve essere dichiarato illegittimo il licenziamento in tronco adottato nei confronti del dipendente per la violazione dei permessi per l’assistenza al familiare disabile della legge 104/92 dovendosi osservare che da nessuna parte della legge, si evince che, nei casi di permesso, l'attività di assistenza deve essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa, laddove nei giorni di fruizione egli è libero di graduare l'assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze del disabile".

È stato inoltre precisato che "nei giorni di permesso l'assistenza non necessariamente deve coincidere con l'orario lavorativo": obbligare di fatto il lavoratore a utilizzare i permessi 104 in orario lavorativo potrebbe significare nei fatti "andare contro" gli interessi del disabile interessato, che potrebbe necessitare di maggior assistenza in orario diverso da quello lavorativo (ad esempio, in orario notturno).

 

Prassi

Ministero del Lavoro - Decreto direttoriale del 2 luglio 2024 n. 62: verifiche attrezzature di lavoro

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha adottato il 53° elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui al punto 3.7 dell’Allegato III del decreto 11 aprile 2011, ai sensi dell’articolo 71, comma 11, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.


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