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8 novembre 20249 minuti di lettura

Labour News – Le novità della settimana

Venerdì 8 novembre 2024
In evidenza

Corte di Cassazione, 24 ottobre 2024, n. 27610 - Lunghe pause al bar e lesione dell'immagine aziendale

La Corte di Cassazione ha chiarito che l'immagine esterna di un'azienda presso il pubblico è parte integrante del suo patrimonio e dunque merita di essere tutelata da comportamenti che ne possano lederla, al pari di quanto accade per qualsiasi altro bene aziendale.

In questo caso, la Suprema Corte ha confermato il licenziamento di un dipendente di un'azienda di raccolta dei rifiuti, che si era intrattenuto a più riprese al bar con colleghi, per periodi anche superiori alla mezz'ora ed esprimendosi altresì in modo inappropriato, causando così un danno diretto alla credibilità dell'impresa presso i cittadini presenti. Secondo i giudici di legittimità, proprio il fatto che la violazione era avvenuta in pubblico ne accentua la gravità, amplificando la percezione negativa dell'azienda all’esterno e, di conseguenza, il danno alla reputazione aziendale.

La Cassazione ha anche confermato che l’azienda ha il diritto di avvalersi di investigazioni private per raccogliere prove della condotta illecita del dipendente, purché rispetti le normative sulla privacy e limiti queste indagini alla lesione dell'immagine aziendale. In questo senso, la decisione afferma con forza il valore giuridico della reputazione aziendale, riconoscendo all'impresa il diritto di tutelarsi sia in sede civile che penale, laddove comportamenti interni ne compromettano l'integrità agli occhi del pubblico.

Decreto-legge n. 160/2024: nuove misure contro il lavoro sommerso

Il D. L. 28 ottobre 2024, n. 160, introduce nuove misure per contrastare il lavoro in nero.

Tra le novità più rilevanti, si segnala l'ampliamento delle funzioni dell’Inail, che entrerà a far parte della cabina di regia della Rete del lavoro agricolo di qualità e del Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura.

Un'ulteriore novità riguarda la revoca dell'immunità temporanea per i datori di lavoro iscritti nella Lista di conformità dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, che potranno essere soggetti a ispezioni aggiuntive, a discrezione dell'INL.

Infine, il decreto prevede che l'INL dovrà consentire l'accesso al Portale nazionale del sommerso alle pubbliche amministrazioni e agli enti che gestiscono fondi pubblici, affinché possano effettuare le verifiche necessarie.

Garante per la Protezione dei Dati Personali: no ai software che accedono alla posta elettronica dei dipendenti

Nella Newsletter del 22 ottobre 2024 (n. 528), il Garante ha chiarito che i datori di lavoro non possono accedere alla posta elettronica dei dipendenti, né utilizzare software per conservare copie dei messaggi. Tale pratica, infatti, violerebbe la normativa sulla protezione dei dati personali e costituirebbe un illecito controllo del lavoratore.

L’intervento dell’Autorità è stato richiesto da un agente di commercio, il quale ha segnalato che la società datrice aveva effettuato per tre anni il cd. backup delle e-mail e conservato i log di accesso, utilizzando poi le informazioni raccolte in un contenzioso. In tale contesto, il Garante ha rilevato l’inadeguatezza dell’informativa resa ai lavoratori, che non specificava né la possibilità di effettuare il backup della casella di posta elettronica, né il periodo di conservazione dei dati raccolti.

L’Autorità, pertanto, ha ritenuto che la conservazione sistematica delle e-mail e dei log di accesso, avvenuta per tre anni, non fosse né proporzionata, né giustificata. Il Garante ha inoltre sottolineato che il trattamento dei dati in ambito giudiziario, effettuato accedendo alla casella e-mail del dipendente, deve riguardare contenziosi già esistenti, e non ipotesi di tutela astratte. È stata quindi comminata una sanzione alla società, con divieto di ulteriori trattamenti tramite il software per il backup della posta elettronica.

 

Le altre novità

Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 31 ottobre 2024, n. 28171 - É valido il licenziamento consegnato all'unico indirizzo noto, anche se non più attuale

Il caso riguarda un lavoratore che aveva impugnato il proprio licenziamento, contestando la regolarità della consegna della lettera, che non si sarebbe perfezionata in quanto la lettera era stata inviata al precedente indirizzo di residenza comunicato al datore di lavoro, diverso da quello attuale, mai reso noto (sulla busta della raccomandata figurava la dicitura "sconosciuto").

In proposito la Cassazione ha ribadito che, in base alla presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., l'intimazione effettuata all'indirizzo del lavoratore comunicato all'atto dell'assunzione, anche se non corrisponde più al suo indirizzo attuale, deve essere considerata efficace, salvo che il lavoratore abbia informato il datore di lavoro del cambio di residenza.

Del resto, ricordano i giudici di legittimità, il lavoratore ha l’obbligo di comunicare al datore di lavoro qualsiasi variazione del proprio indirizzo di residenza, non solo in virtù delle eventuali disposizioni del contratto collettivo applicato, ma anche in forza di un dovere generale di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto di lavoro.

La presunzione non può ritenersi tuttavia integrata dalla sola dimostrazione, da parte del datore di lavoro, di aver inviato la lettera, essendo necessaria altresì la prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento di consegna, mediante l'avviso di ricevimento o l'attestazione di compiuta giacenza.

Corte di Cassazione, 23 ottobre 2024, n. 27446 - Aspettativa post comporto e trasmissione dei certificati medici

La Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia resa in appello secondo cui è stato ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a una lavoratrice per aver omesso di presentare ulteriori certificati medici, al fine di giustificare la propria assenza durante il periodo di aspettativa non retribuita precedentemente concesso dal datore di lavoro.

La Suprema Corte, nel caso di specie, ha rilevato che il provvedimento adottato dal datore di lavoro, con il quale quest’ultimo aveva riconosciuto il diritto della lavoratrice all’intera aspettativa non retribuita, dopo aver preventivamente vagliato i certificati medici dell'epoca, valeva dunque a giustificare la sua assenza per tutto il periodo concesso, senza che vi fossero ulteriori obblighi di comunicazione a carico della dipendente, del resto non sanciti dal contratto collettivo applicato (diversamente da quanto invece previsto durante il periodo di comporto).

La Corte ha inoltre rammentato che, durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita, il rapporto di lavoro entra in una fase di quiescenza (senza la maturazione dell’anzianità di servizio), nella quale l’unico diritto che residua in capo al lavoratore è quello alla conservazione del posto di lavoro.

Circolari e Prassi

Interpello del 24 ottobre 2024 n. 6: i chiarimenti del Ministero sull'obbligo di formazione del preposto

Il Ministero del Lavoro ha chiarito la cadenza dell’obbligo di formazione e aggiornamento del preposto, figura assai rilevante nel sistema di prevenzione e protezione aziendale.

In particolare, il Ministero ha sottolineato che, alla luce della perdurante mancata adozione di un nuovo Accordo da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, la periodicità dell'obbligo formativo del preposto resta quinquennale, non potendosi ancora applicare quella biennale introdotta nel 2021 al comma 7-ter dell’art. 37 del D.Lgs. 81/2008.

Circolari e Prassi

Interpello del 24 ottobre 2024 n. 5: Chiarimenti del Ministero in merito alla designazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

Il Ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti in merito al numero e alle modalità di designazione dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS), nell'ambito di ciascuna unità produttiva, specificando altresì cosa debba intendersi per quest'ultima. In particolare, il Ministero ha anzitutto ribadito che deve farsi puntuale applicazione della disciplina prevista dall'art. 2, comma 1, lett. t), del D.Lgs. 81/2008 che definisce unità produttiva quello "stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale".

Inoltre, il dicastero ha ribadito che per l'elezione dei RLS nelle aziende con più di 15 dipendenti si debba fare riferimento a quanto disposto dall'art. 47 del D.Lgs. 81/2008. In tali aziende, infatti, l'elezione dei RLS avviene secondo i numeri e le modalità di designazione stabilite dalla contrattazione collettiva, nell'ambito delle rappresentanze sindacali aziendali. Solo in assenza di rappresentanze, l'elezione è invece effettuata direttamente dai lavoratori.

 

Tema della Settimana

Corte di Cassazione, 26 luglio 2024, n. 20938 - Criteri di incidenza del benefit auto su TFR e istituti indiretti

Guai in vista per le società che sono solite assegnare un'auto aziendale in uso promiscuo ai propri dipendenti, il cui costo da oggi potrebbe diventare proibitivo.

La decisione in commento consegue al ricorso di una società che ha sollevato specifiche obiezioni riguardo al modo in cui la Corte d'Appello aveva calcolato l'incidenza dei fringe benefits, in particolare il valore dell'auto aziendale, sugli istituti indiretti come il TFR.

In particolare, la società ricorrente ha sostenuto che la Corte d'Appello aveva erroneamente considerato il valore del benefit auto aziendale in uso promiscuo, includendovi i chilometri annualmente percorsi, i rimborsi sostenuti per il carburante e i pedaggi autostradali, nonché il costo dell'auto e le spese di manutenzione e assicurazione, per un valore di euro 1.200 mensili. La Società ricorrente riteneva, invece, che avrebbe dovuto essere considerato soltanto l'importo indicato in busta paga, pari a euro 259,95 mensili, e, dunque, quasi 5 volte di meno.

La Corte di Cassazione, facendo leva su alcuni precedenti, ha respinto l'argomentazione della società ricorrente, sottolineando che il risparmio di spesa per il lavoratore derivante dall'uso dell'auto aziendale per fini personali doveva essere considerato come retribuzione in natura e, di conseguenza, incluso nella base di calcolo dell'indennità di fine rapporto e del TFR.

Le conseguenze derivanti da un'applicazione pedissequa dei principi espressi nella sentenza in commento porterebbero, inevitabilmente, le società che assegnano il benefit auto ai propri dipendenti a fare i conti con costi molto più elevati rispetto a quelli oggi considerati. L'aggiunta di tutti gli elementi citati nella sentenza (assicurazione, manutenzione, carburante, valore auto, pedaggi e chilometraggio) quadruplicherebbe, in una prudente ipotesi, il valore del benefit con impatto dirompente sulla mensilità globale di fatto.

Ciò comporterebbe giocoforza la necessità di ricalcolare il TFR accantonato, un incremento dell'indennità sostitutiva del preavviso e della base di calcolo per i danni da licenziamento ovvero per le transazioni con i dipendenti, senza contare ai dipendenti già cessati che potrebbero avanzare richieste in merito alle differenze retributive derivanti dal ricalcolo delle competenze di fine rapporto già liquidate.

Insomma, l'allarme tsunami è già scattato e i consulenti del lavoro avranno non pochi grattacapi nel declinare questi principi nei conti delle società che vorranno conformarsi.