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5 luglio 20246 minuti di lettura

Le novità della settimana in materia di lavoro

Venerdì 5 luglio 2024
Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 25 giugno 2024, n. 17450 - Sulla subordinazione

Nel caso di specie, una giornalista professionista aveva adito il tribunale deducendo di aver lavorato presso una società in virtù di plurimi contratti di lavoro autonomo e rivendicando la natura subordinata del rapporto di lavoro. Dall'istruttoria svolta emergeva l'inserimento continuativo e organico della prestazione lavorativa della giornalista nell'organizzazione della società, nonché la continuità della prestazione, l'assoggettamento al potere direttivo della società quanto ai tempi e ai modi della prestazione, e l'uso di mezzi aziendali. Per tali ragioni, la corte d’appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, dichiarando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di natura giornalistica tra le parti, condannando la società a riammettere in servizio la giornalista e a liquidarle una indennità risarcitoria quantificata in sei mensilità.

La giornalista adiva successivamente la Corte di Cassazione, contestando la decisione della corte d'appello per avere escluso il diritto all'integrale risarcimento del danno richiesto dalla stessa (pari alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora successiva alla scadenza dell'ultimo contratto di lavoro autonomo fino all'effettiva riammissione in servizio) e riconosciuto, invece, soltanto il diritto all'indennità risarcitoria forfettaria e omnicomprensiva di cui all'art. 32 Legge 183/2010.

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondata la doglianza della giornalista, chiarendo che il regime indennitario introdotto dall'art. 32, co. 5, Legge n. 183/2010 non si applica all'ipotesi di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato al cospetto di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo, riguardando quel regime soltanto i contratti di lavoro subordinato a termine e le altre tipologie contrattuali previste dai commi 3 e 4 dell'art. 32, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo.

Tale interpretazione si allinea a quella resa dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 303/2011), la quale, ritenendo legittima la forfetizzazione del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ha evidenziato che il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (ossia quella appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella più grave dell'utilizzazione fraudolenta della collaborazione coordinata e continuativa, in quanto l'accertamento della natura subordinata del rapporto nel suo concreto svolgimento è fattispecie del tutto diversa. In tale ultimo caso, al giudice è demandata l'ordinaria qualificazione giuridica del rapporto di lavoro - necessaria per l'applicazione della relativa disciplina - condotta sulla base degli indici ritenuti rivelatori di indeterminato atteggiarsi dei diritti, degli obblighi, dei poteri e delle correlate soggezioni delle parti, anche in senso difforme dal contratto da loro formalmente stipulato in termini di lavoro autonomo.

Sulla base di tali argomentazioni, gli ermellini hanno affermato il principio di diritto secondo cui "nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro al cospetto di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall'art. 32 Legge n. 183/2010, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora".

La Corte di Cassazione ha quindi concluso per l'accoglimento del ricorso della giornalista, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla corte d'appello, in diversa composizione, ai fini della determinazione del risarcimento del danno in conformità al principio di diritto esposto.

Corte di Cassazione, 25 giugno 2024, n. 17419 - Sul full time e part time

I dipendenti di una discoteca (addetti a mansioni relative alla gestione della sala da ballo, ristorante e bar) adivano il tribunale, deducendo di aver sottoscritto un accordo aziendale che prevedeva la riduzione dell’orario ordinario di lavoro con garanzia di 120 giornate di lavoro annuali e che tale accordo fosse stato poi disdettato dalla società datrice di lavoro. Deducevano, altresì, di non aver mai firmato alcun contratto part time, nonostante la disciplina allora vigente prevedesse la forma scritta ad substantiam e poi ad probationem e di aver diritto, pertanto, alle differenze retributive per il tempo pieno.

La Società sosteneva invece che, in seguito alla disdetta del primo accordo di riduzione dell’orario, era stato concluso un nuovo accordo che aveva previsto la riduzione delle giornate di apertura e aveva proposto ai propri dipendenti la sottoscrizione di contratti di lavoro part time conformi a tale accordo, contratti che i lavoratori ricorrenti avevano rifiutato di sottoscrivere. La Società dichiarava che il locale aveva un calendario di aperture limitato e che tutti i lavoratori avevano osservato un orario di lavoro part time verticale coincidente con gli orari di apertura della discoteca.

Il tribunale accoglieva la domanda proposta dai lavoratori, ma in seguito, la corte d’appello riformava la sentenza di primo grado rilevando che i lavoratori avevano sempre pacificamente lavorato nei soli giorni di apertura della discoteca e che dovevano, pertanto, essere retribuiti solo per quelle giornate anche se non era stato stipulato alcun contratto di lavoro part time.

I lavoratori, ricorrevano davanti alla Corte di Cassazione, la quale in riforma della sentenza della corte territoriale, ribadiva che “il rapporto di lavoro subordinato si presume costituito full time e in tal modo va qualificato sul piano giuridico qualora il part time non risulti da patto con forma scritta, richiesta ad substantiam secondo la disciplina vigente all'epoca di assunzione di alcuni lavoratori (art. 5 D.L. n. 726/1984, convertito dalla legge n. 863/1984), ad probationem secondo quella vigente all'epoca di assunzione di altri (artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 61/2000). Sul piano processuale la conseguenza non muta: non essendo stato prodotto nel processo il contratto di lavoro con forma scritta o almeno un patto scritto relativo all'orario di lavoro asseritamente part time, deve concludersi che i rapporti di lavoro dei ricorrenti siano stati costituiti full time”.

Da ultimo, la Suprema Corte ha invitato la corte d’appello in sede di rinvio ad attenersi ai seguenti principi:  

1) pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato full time, il datore di lavoro può provare sospensioni concordate delle prestazioni lavorative e delle correlative retribuzioni anche per facta concludentia;

2) una volta raggiunta la prova di tali sospensioni, esse si traducono in clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro full time;

3) una volta integrato in tal modo il contratto, eventuali modifiche successive di quelle sospensioni concordate richiedono un nuovo consenso del lavoratore e quindi non possono essere disposte né imposte unilateralmente dal datore di lavoro.


Per informazioni sulla presente newsletter si possono contattare i coordinatori Avv. Francesca Anna Maria De Novellis, Avv. Silvia Guidaldi e Avv. Sara Verde.

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