Labour News – Le novità della settimana
Venerdì 6 dicembre 2024In evidenza
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 14 novembre 2024, n. 29400 – L'onere della prova di condotte mobbizzanti grava sul lavoratore
Nella controversia decisa dalla Suprema Corte un lavoratore aveva agito in giudizio contro l'Ente datore di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa di comportamenti mobbizzanti e vessatori posti in essere dai propri ex superiori. La domanda del lavoratore, tuttavia, era stata rigettata sia in primo grado dal Tribunale sia in appello, in quanto non era stata ritenuta provata l'esistenza di un inadempimento contrattuale del datore di lavoro. Il lavoratore, pertanto, ha chiesto la censura della pronuncia di merito davanti la Corte di Cassazione insistendo sulla violazione dell'art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica e morale dei dipendenti.
La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza di appello, ha . ribadito che, “le vicende di mobbing si caratterizzano (...) per il fatto di assumere rilievo principalmente in presenza di una serie di condotte legittime del datore di lavoro che siano unificate da un intento persecutorio le quali, nonostante la formale correttezza dell'operato del detto datore, rappresentano, comunque, un inadempimento agli obblighi derivanti dall'art. 2087 c.c. proprio in ragione di tale intento”. Pertanto, il lavoratore che dovesse invocare un inadempimento contrattuale dell’art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro – e, quindi, dei doveri di tutela fisica e morale nei confronti dei propri dipendenti – caratterizzato da condotte formalmente legittime (ma sostanzialmente mobbizzanti), è tenuto non solo a dimostrare l'inadempimento datoriale, il danno subito e il nesso causale fra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato, ma, è tenuto a dimostrare anche l'intento persecutorio, considerato elemento essenziale e distintivo delle vicende di mobbing.
Correttivo al Codice dei Contratti Pubblici: nuovi criteri per l’individuazione del contratto applicabile e la valutazione di equivalenza
Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri lo scorso 21 ottobre 2024 è attualmente in discussione in Parlamento il correttivo al Codice dei Contratti Pubblici (Atto di Governo n. 226).
Fra gli aspetti di rilievo, si segnala la possibile adozione dell’Allegato 0I.1, che fornisce indicazioni per individuare il contratto collettivo applicabile al personale impiegato nell’appalto e per valutare l’equivalenza ove si propenda per l’applicazione di un diverso contratto collettivo rispetto a quello individuato dal bando di gara.
L'art. 3 dell’allegato stabilisce due criteri per l’individuazione del contratto collettivo applicabile. Il primo basato sull'attività da eseguire, secondo cui la classificazione deve essere basata sul codice ATECO associato all’attività economica, secondo la classificazione adottata dall’ISTAT. L’ambito di applicazione del contratto collettivo di lavoro indicato deve corrispondere ai sottosettori con cui sono stati classificati i contratti depositati nell’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, istituito presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Il secondo, invece, basato sulla rappresentatività comparata, stabilisce che occorre tenere conto della maggiore rappresentatività comparata delle associazioni sindacali e datoriali firmatarie del contratto collettivo.
Per quanto riguarda la valutazione dell’equivalenza tra contratti collettivi, l’articolo 3 introduce , una presunzione di equivalenza per "i contratti collettivi nazionali e territoriali di lavoro, sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali con organizzazioni datoriali diverse in base alla dimensione o alla natura giuridica delle imprese, a condizione che ai lavoratori dell’operatore economico sia applicato il contratto collettivo di lavoro corrispondente alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa". Dunque, si considera equivalente il contratto collettivo nazionale o territoriale di lavoro sottoscritto dalle medesime organizzazioni sindacali, anche se stipulato con associazioni datoriali diverse, purché il contratto applicato dall’operatore economico corrisponda alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa e garantisca ai lavoratori condizioni analoghe.
Negli altri casi, l'art. 4, indica una serie di criteri per la valutazione dell’equivalenza economica e normativa, in particolare chiarendo che tale equivalenza può ritenersi sussistente ove il valore economico complessivo delle componenti fisse della retribuzione globale annua risulta almeno pari a quello del contratto collettivo di lavoro indicato nel bando di gara o nell’invito e quando gli scostamenti rispetto ai parametri per la valutazione di equivalenza normativa sono marginali.
Ccnl per i lavoratori dipendenti delle imprese portuali: firmato l’accordo di rinnovo
Il 18 novembre 2024 è stato sottoscritto il verbale di accordo per il rinnovo del contratto collettivo per i lavoratori dipendenti delle imprese portuali.
Fra le principali novità dell'accordo si segnala la previsione di un aumento contrattuale complessivo di 150 euro per il 4° livello, con conseguente adeguamento di nuovi minimi contrattuali.
Inoltre, per il periodo 1° gennaio 2024 – 31 ottobre 2024, è prevista l’erogazione di un importo una tantum del valore lordo di euro 350,00 uguale per tutti i livelli d'inquadramento, ma non fruibile per le assunzioni dopo il 31 ottobre 2024).
Infine, a decorrere dal 2025, è stato riconosciuto ai lavoratori un giorno di ferie aggiuntivo rispetto a quelli attualmente previsti.
Le altre novità
Giurisprudenza
Legittimo il licenziamento per avere il dipendente affermato dichiarazioni "truffaldine"
La Corte di Cassazione con l'ordinanza 30613/2024 del 28 novembre 2024 ha espresso il principio secondo cui è legittimo il licenziamento al dipendente ove questo abbia violato la fiducia del datore di lavoro con un comportamento avente carattere "truffaldino".
Nel caso di specie, la Società comminava al dipendente la sanzione espulsiva a seguito di una sua assenza ingiustificata, giustificata dallo stesso con la necessità di assistenza al coniuge. Il dipendente agiva quindi in giudizio chiedendo che venisse accertata l'illegittimità del licenziamento sostenendo che, ai sensi del contratto collettivo applicato in azienda, il licenziamento per motivi disciplinari potesse essere intimato solo a fronte di tre assenze ingiustificate nell'arco di un anno solare.
La Suprema Corte ha stabilito però che il caso in esame non rientrava nella fattispecie di assenza ingiustificata, ma costituiva una violazione della fiducia del datore di lavoro, essendosi il dipendente assentato dal lavoro senza debitamente avvisare il datore e fornendo false giustificazioni, con un comportamento che, secondo la Corte, era caratterizzato da un "quid pluris" rappresentato da "programmazione anticipata e risalente nel tempo" e "pervicacia nel decidere di non presentarsi a lavoro".
Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione afferma la legittimità del licenziamento nel caso in cui il dipendente abbia violato il legame fiduciario con il datore di lavoro attraverso delle dichiarazioni "truffaldine".
Legislazione
Decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 – Approvato alla Camera il disegno di legge di conversione
La Camera ha approvato il disegno di legge di conversione del Decreto Flussi, che disciplina l'ingresso in Italia di soggetti extra-comunitari per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo, stabilendo delle quote di ingresso periodicamente riviste.
Il decreto introduce importanti novità volte a semplificare l’iter di richiesta del nulla osta al lavoro di stranieri e prevede un permesso di soggiorno particolare per le vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In particolare, i soggetti vittima di sfruttamento del lavoro, se collaborano all’emersione dei fatti e all’individuazione dei responsabili, potranno, in attesa del rilascio del permesso di soggiorno, legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l'attività lavorativa.
Relazioni Industriali
Rinnovato il CCNL per i Dirigenti dei Servizi Pubblici
È stato raggiunto l’accordo per il rinnovo del CCNL dirigenti dei servizi pubblici per il triennio 2025-2027, che interessa 2.000 dirigenti di oltre 550 aziende. L'intesa si concentra principalmente sulle figure dirigenziali, fondamentali per lo sviluppo industriale del Paese. Queste le principali novità del rinnovo:
- Retribuzione: Introduzione di un trattamento minimo garantito, portato a €80.000 nel 2025 e a €85.000 nel 2026, con obbligo di retribuzione variabile;
- Una tantum: Previsto un bonus del 6% per i dirigenti con specifici requisiti;
- Welfare: Promosse iniziative aziendali per genitorialità, disabilità e parità di genere, con un forte impegno contro le molestie sul lavoro;
- Previdenza e formazione: Rafforzata la previdenza integrativa (Previndai) e contributo annuale per la formazione professionale;
Ulteriori novità riguardano trasferta, malattia, infortuni e congedo matrimoniale.
Tema della Settimana
Licenziamento: è legittimo quando il lavoratore abusa della fiducia riconosciuta dal datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30613 pubblicata lo scorso 28 novembre 2024 è tornata a pronunciarsi sul tema del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.
Il provvedimento in commento ha ad oggetto il licenziamento di un lavoratore, direttore di un punto vendita della società datrice di lavoro, il quale aveva ritardato la ripresa dal lavoro subito dopo la pausa pranzo, per poi recarsi in luogo diverso da quello in cui era ubicata la sede di lavoro tramite trasporto aereo.
Il lavoratore, in ragione dello spostamento compiuto, non si presentava a lavoro il giorno successivo adducendo che il proprio coniuge fosse stato colto da un malore improvviso.
Ciononostante il lavoratore rassicurava il datore di lavoro di potersi recare in sede nel caso di necessità.
Il dipendente, quindi, pur trovandosi altrove, aveva lasciato intendere di essere reperibile e di trovarsi nel luogo in cui era ubicata la sede di lavoro.
Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello territorialmente competente hanno rigettato il ricorso del lavoratore, il quale aveva agito in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento.
A sostegno delle proprie domande, il lavoratore, oltre ad eccepire che nel giorno di assenza lo stesso si trovasse in ferie, osservava che il CCNL Commercio applicato al rapporto di lavoro prevedeva l'applicazione della sanzione espulsiva solo nel caso di assenza ingiustificata per giorni superiori a tre, ragion per cui il licenziamento, in tal caso, doveva ritenersi sproporzionato.
L'eccezione circa la fruizione di un giorno di ferie nella giornata lavorativa in cui è stata contestata l'assenza ingiustificata è stata dichiarata inammissibile, in quanto mai sollevata nei precedenti gradi del giudizio.
Per quanto concerne, invece, la proporzionalità della sanzione irrogata, ha precisato la Suprema Corte, la condotta contestata al dipendente non era riferita all’assenza ingiustificata in sè, ma nell'abuso di fiducia perpetrato dal lavoratore.
Tale distinzione, nel caso di specie, è fondamentale, in quanto l’assenza ingiustificata integra unicamente una violazione dell’obbligo contrattuale di presenza, mentre l’abuso di fiducia costituisce condotta ben più grave, che lede irrimediabilmente il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro, rendendo quindi impossibile la prosecuzione dello stesso.
A tal riguardo, infatti, il giudice di legittimità ha ritenuto integrato l'abuso di fiducia in quanto il comportamento del lavoratore era di chiara natura "truffaldina", finalizzato unicamente a recarsi altrove esclusivamente per motivi personali rimasti del tutto ignoti ed arricchito da una pluralità di invenzioni – quali il malore improvviso del coniuge e la dichiarata disponibilità a recarsi in sede nel caso di urgenza - architettate senza tenere conto delle possibili disfunzioni organizzative che potevano essere arrecate all'azienda.
Tale ultimo aspetto nel caso di specie ha acquisito particolare rilevanza in ragione della marcata componente fiduciaria che contraddistingueva il ruolo (direttivo) ricoperto dal lavoratore, motivo per cui la Corte di Cassazione ha ritenuto la sanzione del licenziamento per giusta causa proporzionata alla violazione commessa.