Antitrust Bites – Newsletter
Maggio 2024Pubblicata dall’AGCM la Comunicazione che definisce l’esercizio dei nuovi poteri previsti dal decreto asset in materia di indagini conoscitive
Nel Bollettino n. 19 del 13 maggio 2024, l’AGCM ha pubblicato la “Comunicazione relativa all’applicazione dell’articolo 1, comma 5, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104”, nella quale definisce le regole che disciplinano i nuovi poteri in materia di indagini conoscitive attribuiti all’Autorità dal D.L. 104/2023 (cd. “Decreto Asset”).
L’art. 1 co. 5 del D.L. 104/2023 prevede che, se in esito a un’indagine conoscitiva condotta ai sensi dell’art. 12, co. 2 della L. 287/1990 l’AGCM riscontra problemi concorrenziali che ostacolano o distorcono il corretto funzionamento del mercato, con conseguente pregiudizio per i consumatori, essa può imporre alle imprese interessate misure strutturali o comportamentali necessarie e proporzionate al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza. Nell’ambito di tali indagini conoscitive, le imprese interessate possono presentare impegni che l’AGCM può rendere obbligatori dopo averne valutata l’idoneità e previa consultazione del mercato. Come precisato nella comunicazione in commento, quindi, la norma non definisce una nuova tipologia di indagini conoscitive, bensì prevede la possibilità per l’AGCM di impiegare nuovi poteri in un procedimento tipicamente conoscitivo che, in forza della nuova previsione, potrà eventualmente prevedere una seconda fase rimediale volta a eliminare le distorsioni concorrenziali.
La comunicazione distingue diverse fasi procedurali. In particolare:
- La prima fase è quella di avvio dell’indagine conoscitiva; quando l’AGCM intende procedere a un’indagine conoscitiva, adotta una decisione di avvio pubblicandola nel bollettino e nel sito internet ufficiale, e rendendo noti gli elementi essenziali dell’indagine.
- Se ne ricorrono i presupposti, l’Autorità può esercitare i poteri di cui all’art. 14 (co. 2 – 2 quater e 7 septies) della L. 287/1990 e, quindi, (i) formulare richieste di informazioni; (ii) convocare in audizione chiunque risulti in possesso di informazioni rilevanti ai fini dell’istruttoria; (iii) disporre perizie, analisi economiche e statistiche e consultare esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell’istruttoria; (iv) esercitare i suoi poteri ispettivi. L’AGCM può altresì disporre consultazioni pubbliche su determinati temi di interesse e disporre la pubblicazione di un rapporto preliminare che illustra gli esiti degli approfondimenti conoscitivi effettuati fino a quel momento.
- Se all’esito dell’indagine conoscitiva l’AGCM non riscontra problemi concorrenziali (e quindi i presupposti previsti dal Decreto Asset per l’apertura della fase rimediale), l’indagine si conclude.
- Laddove invece l’AGCM dovesse ravvisare la sussistenza di criticità concorrenziali, si avvierebbe la fase rimediale, introdotta dalla pubblicazione di una “delibera delle risultanze conoscitive” (“DRC”) in cui sono indicate: (a) le criticità concorrenziali rilevate dall’AGCM; (b) le possibili tipologie di misure che l’Autorità ritiene prima facie idonee a consentire il superamento dei problemi concorrenziali di cui sopra; (c) le imprese potenzialmente destinatarie delle misure; (d) il termine, non inferiore a 45 giorni, per la presentazione di memorie scritte, documenti, e richieste di audizione, nonché per la presentazione di eventuali impegni.
- Nel caso di presentazione di impegni da parte delle imprese interessate (i.e., le imprese individuate come tali nella DRC), l’AGCM può renderli obbligatori ove li ritenga non manifestamente inidonei a rimuovere gli ostacoli o le distorsioni della concorrenza rilevate in sede di indagini conoscitive.
- Nel diverso caso in cui l’AGCM dovesse rigettare gli impegni presentati dalle imprese interessate, o in caso di mancata presentazione di impegni, l’AGCM può imporre misure strutturali o comportamentali, di cui dà comunicazione alle imprese interessate e ne dispone la pubblicazione con delibera. Tali misure sono sottoposte a consultazione pubblica di modo che le imprese interessate e i soggetti che ne abbiano interesse possano presentare osservazioni scritte (nel termine indicato nella delibera e comunque non inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione della stessa).
- Le imprese interessate sono tempestivamente informate dell’esito della consultazione; possono presentare memorie scritte e documenti e chiedere di essere sentite presentando un’apposita richiesta entro dieci giorni dal ricevimento della delibera.
Interpretazione delle nozioni di “consumatore medio” e “pratica commerciale aggressiva”: le conclusioni dell’AG Emiliou
Lo scorso 25 aprile 2024, l’Avvocato Generale (“AG”) Emiliou ha presentato le proprie conclusioni nella causa C-646/22, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dal Consiglio di Stato, al fine di chiarire la nozione di “consumatore medio”, nonché le condizioni al ricorrere delle quali una pratica commerciale di vendita abbinata di prodotti finanziari e polizze assicurative possa essere qualificata come “aggressiva”.
Il procedimento principale riguarda la decisione con cui l’AGCM ha sanzionato una finanziaria per avere adottato una (presunta) pratica commerciale “aggressiva”, consistente nella vendita abbinata, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al prodotto finanziario. Benché non fosse una precondizione per la concessione del finanziamento, l’AGCM ha ritenuto che i clienti fossero indotti a stipulare la polizza assicurativa, valorizzando che la predetta e il prodotto creditizio fossero proposti contemporaneamente al cliente e i contratti relativi a detti rispettivi prodotti fossero sottoscritti dai clienti allo stesso momento. Siffatta qualificazione è stata contestata dalla società finanziaria, secondo cui l’AGCM non avrebbe fornito la prova effettiva del carattere aggressivo di tale pratica alla luce delle specifiche caratteristiche della stessa e delle circostanze rilevanti.
In tale contesto, il giudice del rinvio si è chiesto, inter alia, (i) come debba essere interpretata la nozione di consumatore medio, che la direttiva 2005/29/CE individua quale parametro di riferimento per la valutazione del carattere potenzialmente sleale di una pratica commerciale; (ii) se possa essere considerata “di per sé” (cioè in tutti i casi) aggressiva una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i prodotti insieme (cd. framing).
Secondo l’AG, nel contesto dell’applicazione della direttiva, il “consumatore medio” non è necessariamente un individuo razionale che si attiva per ottenere ed elaborare tutte le informazioni rilevanti che gli vengono fornite al fine di adottare decisioni consapevoli, in linea con il modello dell’homo oeconomicus. Tale nozione è sufficientemente flessibile da consentire di considerarlo come un individuo con “razionalità limitata”, che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o è incapace di elaborare le informazioni che gli vengono fornite in maniera razionale. Ne deriva che le autorità nazionali e gli organi giurisdizionali, nel valutare il carattere sleale di una pratica commerciale, non sono chiamati a stabilire quale sarebbe la condotta economica di un consumatore razionale, ma devono considerare quale sarebbe stata la “reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie”. Tale conclusione è avallata dalla stessa ratio della direttiva, consistente nel fornire “un livello elevato di tutela dei consumatori”.
Con riferimento al secondo quesito, l’AG chiarisce che nel valutare una pratica commerciale come aggressiva occorre fondarsi sulla “fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso”. Premesso che il carattere aggressivo di una pratica commerciale dipende di norma da una valutazione contestuale, non si può escludere che talune pratiche possano essere considerate di per sé aggressive; tuttavia, tali pratiche costituirebbero un’eccezione e non la regola. La direttiva, infatti, enuclea una sorta di “lista nera” di pratiche che possono essere considerate aggressive in ogni caso. Tra queste ultime, ad ogni modo, non figura l’ipotesi in cui un professionista venda prodotti in abbinamento, contestualmente presentando ai suoi clienti le informazioni in modo tale da indurli a credere di dovere acquistare i prodotti necessariamente insieme. Ne consegue, secondo l’AG, che una pratica siffatta non possa essere valutata di per sé come aggressiva, ma che le autorità competenti debbano analizzarne il carattere aggressivo alla luce delle caratteristiche del caso. Ciò soprattutto quando, per ragioni connesse alla complessità del settore in cui opera il professionista, il consumatore medio debba essere considerato un individuo di razionalità limitata.
Designazione di Booking come gatekeeper ai sensi del Digital Markets Act e avvio di un’indagine di mercato su X
Lo scorso 13 maggio la Commissione Europea ha designato Booking come gatekeeper per il suo servizio di intermediazione online ai sensi del Digital Markets Act (Regolamento (UE) n. 2022/1925 – DMA). Questa decisione è il risultato di un approfondito processo di revisione avviato a seguito delle notifiche pervenute in data 1° marzo 2024 da parte di Booking, X e un’altra impresa riguardanti il loro potenziale status di gatekeeper.
Ai sensi dell’articolo 3 del DMA, un’impresa è designata come gatekeeper se funge da punto di accesso importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali. Poiché Booking soddisfa questo criterio, la Commissione ha deciso di designarla come gatekeeper e, di conseguenza, in qualità di gatekeeper, Booking, tra l’altro, sarà tenuto entro sei mesi a presentare una relazione illustrativa delle misure adottate per conformarsi agli obblighi previsti dal DMA, nonché un’informativa sulle tecniche applicate per la profilazione dei consumatori.
Parallelamente, la Commissione ha avviato un’indagine di mercato al fine di valutare se anche X, società che fornisce un servizio di social network online, debba essere designata come gatekeeper. In occasione della notifica pervenuta in data 1° marzo 2024, X aveva presentato alcune argomentazioni per dimostrare che, eccezionalmente, pur raggiungendo tutte le soglie al ricorrere delle quali sarebbe classificata come gatekeeper, a causa delle circostanze relative al funzionamento del servizio di piattaforma di base che esercita, essa non soddisfa i requisiti. L’indagine si concentrerà, pertanto, sulle argomentazioni fornite dalla società.
La Commissione Europea ha adottato il Competition Policy Brief in materia di diritto Antitrust e mercato del lavoro
Il 3 maggio 2024 la Commissione Europea ha pubblicato il “Competition Policy Brief: Antitrust in Labour Markets” in materia di accordi restrittivi della concorrenza nel mercato del lavoro. Anche considerando l’assenza di precedenti della Commissione sul punto, il policy brief è volto a indicare i criteri per valutare la compatibilità di particolari tipologie di accordi, in particolare quelli di wage-fixing e di no-poach con il divieto di intese restrittive della concorrenza posto dall’art. 101(1) del TFUE.
I wage-fixing agreements sono accordi tra datori di lavoro tramite cui viene concordata la fissazione degli stipendi dei dipendenti. I no-poach agreements, invece, comprendono gli accordi tra datori di lavoro tramite cui questi si impegnano a non assumere i dipendenti di altri, ovvero anche solo a non sollecitare i dipendenti altrui, attivamente offrendo loro opportunità di lavoro. Tutti gli accordi delineati hanno effetti negativi sul mercato in quanto idonei a ridurre la retribuzione dei lavoratori, la produttività delle imprese, la dinamicità e l’innovazione del mercato stesso, e a determinare l’aumento dei prezzi per i consumatori.
La Commissione ritiene che questi accordi rientrino nella fattispecie dell’art. 101(1) del TFUE, in quanto sussumibili nella categoria di accordi di fissazione dei prezzi, per quanto riguarda i wage-fixing agreements, e nella categoria di accordi di ripartizione dei mercati o delle fonti di approvvigionamento, per quanto riguarda i no-poach agreements. Tali tipologie di accordi costituirebbero intese vietate per oggetto e, pertanto, sarebbero da considerarsi illegittime senza che sia necessario verificarne gli effetti negativi sul mercato.
Per giungere a tale conclusione, la Commissione ha valutato questi accordi alla luce di una serie di criteri enucleati dalla Corte di Giustizia dell’UE. In particolare, ha esaminato: (i) il contenuto delle previsioni, (ii) gli obiettivi perseguiti e, infine, (iii) il contesto economico e giuridico.
In primo luogo, quindi, la Commissione ha ritenuto che il contenuto degli accordi in esame fosse paragonabile a quello dei cartelli tra acquirenti, considerati in passato restrizioni della concorrenza per oggetto. Poi, ha ritenuto che l’oggetto degli stessi accordi fosse quello di fissare i prezzi di acquisto e di ripartire le fonti di approvvigionamento. Ha inoltre ritenuto che gli ulteriori obiettivi legittimi perseguiti tramite questi accordi, quali la protezione degli investimenti compiuti dalle imprese per formare i propri dipendenti e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale non brevettabili, potessero essere raggiunti con modalità diverse meno restrittive (ad es. accordi di riservatezza, clausole che impegnano il dipendente a lavorare presso il datore di lavoro per un periodo di tempo minimo) che non rilevano ai sensi dell’articolo 101(1) TFUE. Infine, nell’ambito dell’analisi relativa al contesto economico e giuridico, la Commissione ha ritenuto che questa debba essere compiuta caso per caso ma che, comunque, possa limitarsi a verificare se uno specifico accordo riveli un livello sufficiente di danno alla concorrenza.
In linea generale, ove siano soddisfatte le relative condizioni, gli accordi in esame potrebbero essere considerati legittimi qualificandosi come (a) restrizioni accessorie di un accordo principale o (b) rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 101(3) che ammette l’esenzione delle intese i cui effetti procompetitivi superino le restrizioni alla concorrenza. Tuttavia, la Commissione ritiene improbabile che gli accordi di wage-fixing e no-poach possano beneficiare delle eccezioni sopra delineate in quanto difficilmente essi producono effetti positivi per la concorrenza e spesso gli obiettivi dagli stessi perseguiti potrebbero essere raggiunti tramite misure meno restrittive.
Conclusioni dell’AG Spuznar: le norme FIFA sui rapporti tra calciatori e club potrebbero contrastare con il diritto UE
Il 30 aprile 2024 l’AG Spuznar ha presentato le sue conclusioni nella causa C-650/22, introdotta dalla domanda pregiudiziale della Corte d’appello di Mons (Belgio) volta a conoscere se le norme della FIFA che disciplinano i rapporti contrattuali tra calciatori e club siano o meno compatibili con il diritto della concorrenza UE e il principio della libera circolazione delle persone.
La causa trae origine dalle vicende che avevano interessato un ex calciatore professionista. La squadra di cui il giocatore faceva parte, nel 2014 aveva risolto il contratto che la legava al professionista, lamentando inadempimenti da parte di quest’ultimo e chiedendo quindi la risoluzione del contratto senza giusta causa. Il regolamento della FIFA “sullo status e i trasferimenti dei calciatori” prevede che, in caso di risoluzione di un contratto senza giusta causa, la parte inadempiente è tenuta a corrispondere un’indennità, di cui risponde in solido con il nuovo club che ha ingaggiato il calciatore. A ciò si aggiungono sanzioni sportive nei confronti di qualsiasi club riconosciuto responsabile della risoluzione del contratto o di aver indotto il calciatore a lasciare il club precedente, presumendosi fino a prova contraria la responsabilità del club che stipula un contratto con un giocatore che ha risolto senza giusta causa quello precedente. L’esistenza di una controversia contrattuale osta inoltre all’emissione, da parte del club d’origine, del certificato internazionale di trasferimento (cd. CIT), in assenza del quale il calciatore non può essere tesserato presso una nuova associazione sportiva.
Tale normativa, secondo l’ex calciatore, avrebbe reso difficile trovare nuove squadre disposte a tesserarlo, considerato il rischio per il nuovo club di essere condannato in solido al pagamento dell’indennità dovuta alla squadra di provenienza. Di conseguenza, il calciatore ha agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno e del lucro cessante che questi lamentava di aver subìto, dando origine alla vicenda giudiziale nell’ambito della quale è stata introdotta la causa pregiudiziale in questione.
Quanto alla compatibilità o meno dell’anzidetta disciplina con l’art. 101 TFUE, secondo l’AG le norme FIFA, “per loro stessa natura”, limitano la possibilità per i calciatori di cambiare club e per i nuovi club di ingaggiarli. Considerando che il reclutamento di calciatori di talento è un parametro essenziale della concorrenza tra club di calcio professionistico, e che i giocatori sono “il più importante fattore di produzione”, secondo l’AG vi sono “chiare indicazioni dell’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto”. Solo laddove la Corte di Giustizia dovesse ritenere che le norme FIFA determinino una restrizione per effetto – e non per oggetto come sostiene l’AG – allora si dovrebbe verificare se tali disposizioni siano giustificate dal perseguimento di obiettivi legittimi di interesse generale. A tale riguardo, secondo l’AG, il criterio da utilizzare per effettuare la valutazione sarebbe sostanzialmente assimilabile al criterio previsto dall’art. 45 TFUE per giustificare un’eventuale restrizione della libertà di circolazione dei lavoratori.
Quanto al principio della libertà di circolazione dei lavoratori, ad avviso dell’AG “[n]on possono esservi dubbi sulla natura restrittiva di tutte le disposizioni controverse”, visto il loro effetto di impedire ai calciatori il trasferimento verso club di altri Stati membri rispetto a quello del club di provenienza con cui vi è stata la risoluzione contrattuale senza giusta causa. L’AG Spuznar evidenzia che, affinché tale restrizione possa dirsi giustificata, dovrebbero essere soddisfatti i vari requisiti previsti dall’art. 45(3) TFUE che, almeno per alcune delle norme FIFA controverse, l’AG ritiene insussistenti.