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31 luglio 20248 minuti di lettura

Antitrust Bites – Newsletter

Luglio 2024
Tutela del consumatore: il Consiglio di Stato si pronuncia sulla doverosità dell'audizione delle parti nei procedimenti innanzi all'AGCM

Con la sentenza n. 5716 pubblicata il 28 giugno 2024, il Consiglio di Stato ha annullato una sanzione di 2 milioni di euro irrogata dall'AGCM per una pratica commerciale aggressiva, in ragione del diniego opposto dall'Autorità a fronte della richiesta di audizione presentata da tale impresa, che è stato giudicato illegittimo.

In particolare, il Consiglio di Stato ha accolto il motivo di appello contro la sentenza del TAR Lazio volto a denunciare tra l'altro l'illegittimità del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore dell'AGCM di cui alla delibera 25411 del 1° aprile 2015, nella parte in cui non prevede la doverosità dell'audizione dinanzi al Collegio decidente nei procedimenti aventi ad oggetto sanzioni alle quali si debba riconoscere natura afflittiva quantomeno laddove il soggetto interessato ne faccia esplicita richiesta.

Il Regolamento anzidetto prevede che l'audizione delle parti del procedimento è rimessa alla discrezionalità del responsabile del procedimento, il quale ha la facoltà (e non l'obbligo) di disporla ove necessario ai fini della raccolta o della valutazione degli elementi istruttori o richiesto da una delle parti. Il Regolamento prevede altresì che, una volta conclusa la fase istruttoria, il responsabile del procedimento rimette gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale e, durante questa fase, il Regolamento non prevede alcuna partecipazione delle parti.

Il Consiglio di Stato evidenzia – come già rilevato in sue decisioni precedenti, sia pure con riferimento ai procedimenti sanzionatori della CONSOB – che il rispetto del principio del contraddittorio implica "qualcosa di più" rispetto alla sola previa contestazione degli addebiti (che comunque nei procedimenti in materia di tutela del consumatore, contrariamente a quelli relativi alle sanzioni antitrust, neppure è prevista) e alla possibilità della parte di far valere le proprie difese.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, le parti devono avere la possibilità di conoscere le risultanze istruttorie e di replicare prima che venga adottato il provvedimento finale da parte del Collegio dell'Autorità, diversamente da quanto avviene nei procedimenti in materia di tutela del consumatore. Il mancato riconoscimento di tale facoltà – secondo il Consiglio di Stato – fa sì che manchi quell'immediatezza che nei procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni "afflittive" costituisce fondamentale garanzia di difesa.

Il Consiglio di Stato, quindi, in parziale riforma della sentenza appellata, ha ravvisato l'illegittimità del Regolamento nella parte in cui non prevede la “sostanziale” doverosità dell’audizione innanzi al Collegio decidente e ha quindi annullato il provvedimento sanzionatorio, inficiato da un vizio procedimentale. Il Giudice amministrativo non ha ritenuto necessario annullare il Regolamento e ha precisato che l’effetto conformativo della decisione in esame si traduce nell’obbligo, per l’AGCM, di rinnovare l’istruttoria valutando se introdurre nel Regolamento misure tali da far venir meno l’accertata causa di illegittimità.

L'ARERA ha impugnato la Comunicazione dell'AGCM relativa all'esercizio dei nuovi poteri previsti dal D.L. n. 104/2023 in materia di indagini conoscitive

Con la delibera 276/2024/C dell'8 luglio 2024, l'Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) ha deciso di proporre ricorso giurisdizionale, depositato il 19 luglio 2024, avverso la Comunicazione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottata con il provvedimento n. 31190 del 2024, che disciplina l'esercizio dei nuovi poteri in materia di indagini conoscitive attribuiti all'AGCM dall'articolo 1, comma 5, del D.L. n. 104/2023 (il cd. Decreto Asset).

In base a questa norma, se in esito a un’indagine conoscitiva condotta ai sensi dell’art. 12, c. 2, della L. 287/1990, l’AGCM riscontra problemi concorrenziali che ostacolano o distorcono il corretto funzionamento del mercato, con conseguente pregiudizio per i consumatori, essa può imporre alle imprese interessate misure strutturali o comportamentali necessarie e proporzionate al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza. Il parere n. 61/2024 del Consiglio di Stato ha inoltre chiarito che tali nuovi poteri operano senza restrizioni di ordine settoriale o merceologico.

Come si legge nella delibera 276/2024/C, l'ARERA ritiene che la Comunicazione sia censurabile "in quanto fondata su un'erronea interpretazione degli elementi di fatto e di diritto rilevanti".

Notificazione degli atti giudiziari nelle azioni di risarcimento danni derivanti da intese anticoncorrenziali

Con sentenza dell'11 luglio 2024 resa nella causa C-632/22, la Corte di Giustizia dell'UE ha escluso che la nozione di "unità economica" tra una società madre e la sua società figlia possa giustificare che gli atti giudiziari destinati alla prima siano notificati alla seconda, nell'ambito di un'azione di risarcimento dei danni derivanti da un'intesa restrittiva della concorrenza.

La decisione in commento trae origine dalla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte Suprema spagnola, chiamata a riesaminare la sentenza con cui il Tribunale di commercio n. 1 di Valencia aveva ritenuto ammissibile un ricorso per il risarcimento danni per violazione dell'art. 101 TFUE, benché notificato presso la sede spagnola della società figlia della società formalmente convenuta, avente sede in Svezia. In tale contesto, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di chiarire se sia compatibile con il diritto ad un ricorso effettivo, di cui all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell' Unione europea (che si estrinseca inter alia nell'esigenza di ridurre i costi di traduzione e di notificazione degli atti giudiziari redatti dalla ricorrente, nonché di evitare un allungamento dei termini processuali) la notifica di atti destinati alla società madre presso l'indirizzo della società figlia, con sede in altro Stato membro, quando queste formano un'unica entità economica.

La Corte evidenzia anzitutto che le imprese che compongono una cd. "unità economica", seppur responsabili solidalmente per le obbligazioni gravanti in capo alle stesse, mantengono la propria autonomia e indipendenza tra di loro, non potendosi ritenere l'"unità economica" come soggetto giuridico a sé stante.

Secondo la Corte, non si può presumere che una società figlia sia stata designata dalla società madre come persona abilitata a ricevere a suo nome gli atti giudiziari ad essa destinati, poiché si rischierebbe di pregiudicare i diritti della difesa della società madre. Al riguardo occorre anzi considerare che il diritto ad un equo processo, di cui all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, richiede che gli atti giudiziari destinati ad una persona le siano "realmente" ed "effettivamente" consegnati.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha concluso che "non è validamente notificato l’atto di citazione a una società madre contro la quale è stato proposto un ricorso per il risarcimento del danno causato da una violazione del diritto della concorrenza quando tale atto di citazione è stato notificato all’indirizzo della sua società figlia, domiciliata nello Stato in cui è stato proposto il ricorso, quand’anche costituisca con essa un’unità economica".

Recenti procedimenti di AGCM e Commissione europea in materia di consenso relativo ai dati personali

Due recenti iniziative, intraprese rispettivamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) in Italia e dalla Commissione Europea, evidenziano l’importanza crescente attribuita alla protezione dei dati personali e alla trasparenza nella raccolta di tali informazioni per quanto riguarda le grandi piattaforme online.

L’AGCM ha avviato un’indagine nei confronti di Google e Alphabet (società a capo del gruppo Google) in relazione a una potenziale pratica commerciale ingannevole ed aggressiva che, secondo l'Autorità, le società potrebbero aver realizzato con riferimento alla gestione del consenso degli utenti riguardo al “collegamento” tra i vari servizi offerti da Google. Secondo l’AGCM, infatti, le informazioni fornite da tali operatori agli utenti sono incomplete o poco chiare, specialmente in merito all'effettivo impatto del consenso dagli stessi fornito. Inoltre, l'Autorità ha espresso perplessità circa la compatibilità delle tecniche utilizzate da Google per ottenere il consenso da parte degli utenti con la normativa a tutela del consumatore; ad avviso dell'AGCM, tali tecniche potrebbero influenzare gli utenti ad acconsentire all'uso combinato e incrociato dei propri dati tra i diversi servizi offerti da Google, inducendoli ad adottare una decisione che altrimenti non avrebbero preso.

Parallelamente, la Commissione ha comunicato le proprie conclusioni preliminari, secondo le quali Meta, con il proprio servizio pubblicitario online “pay or consent” che prevede la scelta per gli utenti tra (i) la sottoscrizione di un abbonamento mensile per una versione dei social network offerti senza pubblicità o (ii) la versione gratuita del social network con pubblicità personalizzata, viola il Regolamento UE n. 1925/2022 – Digital Markets Act. In particolare, a norma dell’articolo 5(2) del DMA, i cd. gatekeepers devono ottenere il consenso degli utenti per poter combinare i loro dati personali (tipicamente, al fine di fornire loro delle offerte personalizzate) e, qualora l'utente rifiuti, dovrebbe essergli garantita un'alternativa meno personalizzata, ma equivalente del servizio richiesto. Secondo la Commissione, Meta, ponendo gli utenti dinanzi al bivio previsto dal modello "pay or consent", li obbligherebbe ad acconsentire alla combinazione dei propri dati personali senza fornire (come invece prescritto dal DMA) un'alternativa meno personalizzata, ma equivalente dei social network.