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30 novembre 202310 minuti di lettura

Antitrust Bites - Newsletter

Novembre 2023
L’AGCM avvia un’indagine conoscitiva sugli algoritmi di prezzo nel trasporto aereo di passeggeri

Con provvedimento del 14 novembre 2023 l’AGCM ha avviato un’indagine conoscitiva sugli algoritmi in uso nel settore aereo per la determinazione dei prezzi dei servizi di trasporto passeggeri relativamente alle rotte di collegamento con la Sicilia e la Sardegna.

Tale indagine conoscitiva avrà ad oggetto in particolare gli algoritmi di prezzo utilizzati dai vettori aerei, ossia software complessi di trattamento e di elaborazione dei dati che i vettori aerei impiegano principalmente per implementare sistemi di definizione dinamica dei prezzi (cd. di “revenue management”) che consentono di determinare e adattare le tariffe dei singoli voli in base ad alcuni parametri quali, ad esempio, il grado di riempimento del volo, l’andamento della domanda effettiva rispetto a quella attesa o la distanza temporale tra la prenotazione o l’acquisto e quello del volo.

L’indagine è stata avviata a distanza di meno di due mesi dalla conversione in legge (l. 136/2023) del “decreto asset” (d.l. 104/2023), che ha introdotto tra l’altro novità inerenti al settore del trasporto aereo e nuovi poteri che l’AGCM può esercitare all’esito di indagini conoscitive.

In virtù del decreto asset, tra l’altro, all’esito di indagini conoscitive, l’AGCM può imporre alle imprese – nel rispetto dell’ordinamento UE e previa consultazione del mercato – misure strutturali o comportamentali per far fronte a problemi concorrenziali che ostacolano o distorcono il corretto funzionamento del mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori.

Avvalendosi dei nuovi poteri, l’AGCM ha quindi disposto l’indagine in esame finalizzata ad analizzare se (e a quali condizioni) gli algoritmi utilizzati dalle compagnie aeree nei sistemi di revenue management possano avere (o abbiano) effetti anticoncorrenziali e siano idonei a danneggiare i consumatori e, segnatamente, se essi incidano (o siano idonei a incidere) negativamente “sulle condizioni di offerta del servizio di trasporto aereo ai consumatori, anche con riguardo alle politiche di differenziazione e personalizzazione dei prezzi e agli effetti socialmente indesiderabili di un non corretto funzionamento del mercato”.

Il perimetro dell’indagine è stato individuato dall’AGCM sulla scorta del rilievo che le rotte che collegano la penisola italiana a Sicilia e Sardegna sono “rilevanti in termini di volumi di passeggeri trasportati” e “possono essere interessate da una dinamica di differenziazione intertemporale dei prezzi particolarmente accentuata in ragione della presenza di periodi di picco della domanda, tipicamente in concomitanza con le ferie estive e le festività natalizie”.

L’indagine conoscitiva in commento approfondirà, inoltre, le modalità con cui i prezzi dei biglietti aerei e delle loro diverse componenti vengono resi noti e accessibili al pubblico, in quanto tali modalità, incidendo sulla trasparenza e la comparabilità dei prezzi, potrebbero avere un impatto sulla formazione delle decisioni di acquisto dei consumatori e sulla mobilità della domanda e avere, pertanto, ricadute sulle dinamiche concorrenziali del settore.

In virtù delle novità introdotte dal decreto asset, in tale contesto l’AGCM può esercitare i propri poteri di indagine (disporre ispezioni, formulare richieste di informazioni, convocare in audizione soggetti in possesso di informazioni rilevanti, disporre perizie, analisi economiche e statistiche, consultare esperti); le imprese interessate possono presentare impegni che l’AGCM potrà rendere vincolanti dopo averne valutata l’idoneità a rimuovere i problemi concorrenziali, previa consultazione del mercato. All’esito dell’indagine conoscitiva l’AGCM potrà altresì raccomandare le iniziative legislative o regolamentari che dovesse ritenere opportune per migliorare il funzionamento dei mercati interessati.

Il termine di chiusura dell’indagine conoscitiva è fissato al 31 dicembre 2024.

 

Controllo delle concentrazioni e gun jumping: la recente pronuncia della Corte di Giustizia UE

Con sentenza del 9 novembre 2023, la Corte di Giustizia dell’UE si è pronunciata sulla decisione con cui la Commissione europea aveva accertato a carico di un’impresa parte acquirente di un’operazione di concentrazione due distinte violazioni del Regolamento 139/2004: una per inosservanza dell’obbligo di notifica preventiva e una per inosservanza del cd. obbligo di standstill che vieta di realizzare una concentrazione prima dell’autorizzazione da parte della Commissione, applicando per ciascuna violazione un’ammenda di importo pari a 62,25 milioni di euro.

La Commissione aveva ritenuto che l’operazione fosse stata completata già alla conclusione dello SPA in quanto la società poteva esercitare diritti di veto tali da consentirle di esercitare un’influenza determinante sulla target già nel periodo intercorrente tra signing e closing dell’operazione. Nel medesimo periodo, inoltre, l’acquirente sarebbe intervenuta nel funzionamento quotidiano della target e anche tale circostanza le avrebbe consentito di esercitare un’influenza decisiva sulla target. Tutto ciò, ad avviso della Commissione, sarebbe stato corroborato dal fatto che nello stesso periodo le parti si sarebbero scambiate informazioni commercialmente sensibili.

La Corte ha condiviso questo approccio, rilevando che le clausole dello SPA che prevedevano l’obbligo per la target di ottenere il consenso scritto dell’acquirente su numerose decisioni riguardanti le attività, le strategie commerciali e la struttura dirigenziale della target (pena il risarcimento in favore dell’acquirente nel caso di loro violazione), andassero “oltre quanto necessario per proteggere il valore” della target e fossero tali da conferire all’acquirente un diritto di veto su decisioni strategiche. Ciò consentiva, quindi, all’acquirente di esercitare il controllo sulla target prima ancora che l’operazione venisse autorizzata dalla Commissione.

La Corte ha altresì confermato che l’acquirente, intervenendo nel funzionamento quotidiano della target, avrebbe di fatto esercitato una influenza decisiva sulla target non solo prima che intervenisse l’autorizzazione da parte della Commissione, ma addirittura prima che venisse effettuata la notifica.

Ciò posto, la Corte di Giustizia, respingendo le allegazioni della società ricorrente, ha ritenuto corretta l’inflizione da parte della Commissione di due distinte ammende a fronte di un comportamento unico. Ciò in quanto – seppur con un unico comportamento - la società ha violato i due obblighi, autonomi e distinti, di notifica preventiva (art. 4 Reg. 139/2004) e di standstill (art. 7 Reg. 139/2004).

Al riguardo, la Corte ha specificato che gli obblighi di notifica preventiva e di standstill, “nonostante una certa sovrapposizione”, perseguono obiettivi autonomi, stabiliscono obblighi distinti e comportano infrazioni di natura differente. Basti considerare, ad esempio, che l’obbligo di notifica preventiva è un obbligo di “fare”, diversamente da quello di standstill che è un obbligo di “non fare”, e che la violazione del primo costituisce un’infrazione istantanea, mentre nel secondo caso si ha una infrazione continuata.

La Corte di Giustizia ha ritenuto tuttavia di dover ridurre la sanzione applicata per la violazione dell’obbligo di notifica preventiva in quanto la Commissione non avrebbe motivato adeguatamente le ragioni dietro l’applicazione di due sanzioni di identico importo nonostante la “pur significativa” differenza tra la natura degli illeciti (una istantanea e l’altra continuata). La (sola) sanzione prevista per la violazione dell’obbligo di notifica preventiva è stata quindi ridotta da 62,25 milioni a circa 52,9 milioni di euro.

 

Il Tribunale dell’UE respinge il ricorso di Teva e Cephalon contro la decisione della Commissione Europea che accertava un accordo illecito di pay for delay

Con sentenza del 18 ottobre 2023 resa nella causa T-74/21, il Tribunale dell’UE ha respinto il ricorso promosso dalle società farmaceutiche Teva Pharmaceutical Industries Ltd e Cephalon Inc. per l’annullamento della decisione con cui la Commissione europea le aveva sanzionate per aver posto in essere un’intesa restrittiva per oggetto contraria all’art. 101 TFUE nella forma del c.d. pay for delay.

La sentenza in commento trae origine da una controversia in materia brevettuale sorta nel 2005 tra Cephalon, titolare di brevetti sul modafinil (principio attivo alla base del farmaco Provigil), e Teva, produttrice del corrispondente farmaco generico basato sul modafinil, che aveva già iniziato a commercializzare nel Regno Unito. Le due imprese avevano definito la controversia raggiungendo un accordo transattivo che prevedeva la rinuncia da parte di Teva a commercializzare prodotti contenenti modafinil fino al 2012, a fronte di alcune licenze ed un corrispettivo monetario concessi da Cephalon.

La Commissione ha ritenuto che l’accordo transattivo integrasse un’intesa restrittiva della concorrenza per oggetto avente l’obiettivo di escludere o ritardare l’ingresso di Teva nel mercato, prolungando oltre la durata dei relativi brevetti il monopolio di Cephalon relativamente ai mercati del modafinil.

Il Tribunale dell’UE ha confermato tale conclusione, ritenendo che le reciproche concessioni previste nell’accordo transattivo avessero come unica spiegazione “[l’]interesse commerciale sia del titolare del brevetto in questione sia del presunto contraffattore a non farsi concorrenza in base ai meriti” e che risultassero sussistenti i presupposti in base ai quali, secondo la giurisprudenza UE, un accordo transattivo su controversie brevettuali può qualificarsi come un’intesa restrittiva per oggetto. In particolare, il Tribunale chiarisce che tale qualificazione presuppone una valutazione delle caratteristiche specifiche dell’accordo transattivo, da cui si deve dedurre un eventuale danno particolare alla concorrenza, se necessario dopo un’analisi dettagliata dell’accordo stesso, dei suoi obiettivi e del relativo contesto economico e giuridico, nell’ambito del quale l’importo dei trasferimenti di valore riveste particolare importanza.

Secondo il Tribunale UE ciascuno degli accordi commerciali previsti dalla transazione avrebbe determinato concessioni economiche a favore di Teva di tale entità da rendere implausibili le spiegazioni alternative fornite dalle ricorrenti a sostegno della liceità di detti accordi dal punto di vista antitrust. Tali accordi, pertanto, avrebbero avuto il solo scopo di servire da trasferimento di valore dalla Cephalon alla Teva come contropartita dell’impegno di quest’ultima a non entrare in modo indipendente sul mercato del modafinil sino al 2012.

Rigettando le argomentazioni formulate in tal senso dalle parti, il Tribunale dell’UE ha, inoltre, escluso che l’accordo transattivo potesse produrre effetti pro-competitivi contribuendo a migliorare la produzione o la distribuzione di medicinali generici, poiché l’accordo e le licenze in esso previste a favore di Teva non avrebbero anticipato, come sostenevano le ricorrenti, ma, al contrario, avrebbero ritardato l’ingresso di quest’ultima nei mercati del modafinil e, di conseguenza, la concorrenza su tali mercati dei produttori di medicinali generici.

 

Interessi di mora a seguito di rideterminazione della sanzione: sono dovuti dalla Commissione all’impresa?

Con le conclusioni rassegnate il 23 novembre 2023 nella causa C-221/22, l’Avvocato Generale Collins ha espresso la propria posizione in merito alla debenza da parte della Commissione degli interessi di mora sulle somme restituite ad un’impresa a seguito della rideterminazione della sanzione per violazione dell’art. 102 TFUE precedentemente pagata dall’impresa.

La causa in oggetto riguarda l’appello proposto dalla Commissione avverso la decisione del Tribunale dell’UE che, a fronte della rideterminazione di una sanzione già pagata da un’impresa, aveva condannato la Commissione a pagare gli interessi di mora sulle somme da restituire all’impresa a fronte della rideterminazione, calcolati dalla data del pagamento dell’originaria sanzione da parte dell’impresa fino al rimborso. Tale dovere, secondo il Tribunale, derivava direttamente dall’obbligo di dare esecuzione alla sentenza con cui il Tribunale ha ridotto l’importo della sanzione a carico dell’impresa, imposto dall’articolo 266, primo comma, TFUE, ai sensi del quale un’istituzione dell’Unione da cui emana un atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione di quella sentenza comporta.

L’AG Collins, quindi, ha analizzato se dall’articolo 266, primo comma, TFUE possa derivare l’obbligo per la Commissione di pagare interessi di mora su una somma che diviene indebita a seguito di una sentenza per il periodo che va dal pagamento alla sentenza. A tal proposito, l’AG ha ritenuto che la Commissione non fosse tenuta a versare, oltre al rimborso nominale, anche gli interessi di mora all’impresa, in ragione del fatto che un’interpretazione letterale dell’espressione «interessi di mora» implica che detti interessi sono dovuti quando un debitore omette di pagare un’obbligazione entro una scadenza specifica. Atteso che la Commissione non è stata inadempiente riguardo all’obbligazione di rimborsare all’impresa l’importo indebitamente pagato, il pagamento di tali interessi non pare essere un provvedimento che l’esecuzione di una sentenza dei giudici dell’Unione comporta ai sensi dell’articolo 266, primo comma, TFUE.

Resta ora da attendere la pronuncia della Corte di Giustizia sul punto.